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 2020  gennaio 26 Domenica calendario

Il virus cinese resta un rebus. Intervista all’infettivologo Massimo Galli

Il rebus del nuovo coronavirus di Wuhan deve ancora essere risolto. La malattia fa paura, perché in parte è ancora sconosciuta e non vaccinabile e perché sembra poter contare su contagiati asintomatici, oltre ad avere una mortalità abbastanza alta.
Le misure prese dalla Cina però sono state tempestive e potrebbero essere efficaci a contenere l’epidemia. È quello che pensa il professor Massimo Galli, ordinario di Malattie infettive alla Statale di Milano.
Di fronte a quale malattia ci troviamo, potrebbe dar vita a una pandemia, essere una Peste dei nostri tempi?
«In questo momento nessuno al mondo è grado di dire che piega prenderà il nuovo coronavirus.
Siamo in una fase di incertezza.
Sicuramente i provvedimenti precauzionali in Cina e in Europa andavano presi. Io comunque credo che alla fine potrebbe rivelarsi meno tosta della Sars, che tra il 2002 e il 2003 fece circa 800 morti».
Quali sono le caratteristiche preoccupanti di questo coronavirus?
«Intanto, il fatto che sia nuovo.
Questo ci rende impossibile, per ora, conoscere fattori fondamentali come i tempi di incubazione, l’efficienza della trasmissione e le sue modalità, oltre alla severità del quadro clinico di chi è colpito. Il fatto che ci siano stati tanti casi tra il personale sanitario degli ospedali significa comunque che il contagio non può essere difficile».
Quali sono, invece, gli elementi che fanno essere un po’ ottimisti?
«Così su due piedi, non sembra avere la stessa letalità della Sars, circa il 10%, anche se è un po’ presto per dirlo. I decessi sembrano essere sotto il 3% dei contagiati, anche se è chiaro che di questi ultimi non abbiamo un quadro completo: certamente ci sono persone colpite che non hanno avuto una diagnosi. Ma l’elemento fondamentale per essere ottimisti è che abbiamo saputo del passaggio di questo virus dall’animale all’uomo molto presto. Ciò ha permesso di prendere velocemente provvedimenti per contenere il problema, cosa non avvenuta in passato in situazioni simili».
È vero che ci sono casi asintomatici?
«È verosimile, stando alle prime informazioni presenti in letteratura scientifica, su Lancet, che alcuni casi possano non presentare sintomi eclatanti. Non c’è da stupirsi particolarmente però, perché per molte infezioni la risposta individuale è variabile. Ad esempio per la Mers, sempre provocata da un coronavirus, ma anche per alcuni virus aviari dell’influenza, i colpiti in modo evidente sono persone con condizioni di salute già compromesse a priori».
Quanto possono influire questi casi sulla diffusione del virus?
«Di certo possono amplificare la sua diffusione. È quello che avviene normalmente per l’influenza, che in alcuni contagiati è praticamente asintomatica».
Le misure di sicurezza prese fino ad ora sono giuste?
«Quelle adottate dalla Cina sono le uniche possibili, e credo siano efficaci. Sono stati drastici e l’isolamento di intere città fa capire che c’è una chiara volontà di contenimento. Del resto stanno pure costruendo nuovi ospedali».
E in occidente cosa bisogna fare?
«Continuare a monitorare tutti gli arrivi dall’area dell’epidemia. Non fa piacere che siano stati diagnosticati tre casi in Francia, ma l’averli individuati ha bloccato dei potenziali diffusori di malattia. Le persone che sono state in contatto con loro prima della diagnosi, intanto, vanno monitorate. È fondamentale evitare casi secondari fuori dalla Cina, cioè persone che si ammalano qui da noi.
In Italia abbiamo una rete sanitaria di strutture infettivologiche non trascurabile, in casi come questo ne comprendiamo l’importanza».
L’influenza ogni anno contagia in Europa tra 40 e 50 milioni di persone, uccidendone in media 40mila. Perché il coronavirus fa più paura?
«Intanto non abbiamo ancora un vaccino per fronteggiarlo, almeno per il momento. Il dato di mortalità dell’influenza, inoltre, è molto più basso, sotto l’1 per mille. Se il coronavirus si diffondesse ancora, anche se non quanto la malattia stagionale, ci sarebbe un numero altissimo di vittime. Purtroppo in questo momento non sappiamo ancora dove andrà a parare. Rispetto a malattie più letali come Ebola, inoltre, si può considerare più pericoloso perché viene trasmesso per via aerea, a chi si trova a meno due metri di distanza dal malato che starnutisce o tossisce. Con Ebola invece il contagio avviene dopo un contatto con i fluidi corporei».