La Stampa, 26 gennaio 2020
Emilia Romagna, la Maginot contro i sovranisti
La battaglia all’ultimo voto per l’Emilia Romagna segna una nuova tappa nella parabola del populismo italiano. Se le elezioni del 4 marzo 2018 hanno consegnato ai partiti della protesta - Cinquestelle e Lega - la maggioranza dei voti e dei seggi nell’attuale Parlamento, il crollo dopo 14 mesi del governo gialloverde, la nascita del Conte bis e l’implosione del Movimento grillino hanno trasformato il Carroccio nel maggiore interprete di un populismo oramai soprattutto di stampo sovranista. Dove la protesta sociale si esprime con l’esaltazione delle radici etnico-identitarie, sui temi della sicurezza dei cittadini e dell’ostilità nei confronti dei migranti. È questo sovranismo italiano, rimasto senza rivali nel dare voce al disagio economico del ceto medio, che oggi dà l’assalto alla roccaforte dell’Emilia-Romagna che può vantarsi di essere la Regione meglio governata da un partito tradizionale, il Pd.
È uno scontro che assomiglia a una resa dei conti fra due dimensioni diverse della politica: da una parte c’è l’onda sovranista che conquista una regione dietro l’altra dimostrando il distacco esistente fra il Paese reale e il governo Conte bis - sostenuto da M5S e Pd - e dall’altra c’è un esempio di buongoverno sul territorio rappresentato da Stefano Bonaccini, la cui maggiore debolezza è appartenere a un partito tradizionale che guida l’Emilia-Romagna ininterrottamente dal dopoguerra.
Insomma, Bonaccini è lo sfidante migliore che un partito tradizionale può opporre all’onda del populismo perché i suoi risultati sul territorio - dalla ricostruzione del terremoto alla qualità della Sanità fino ai trasporti pubblici - sono fra i più inattaccabili del Paese. Poiché i sovranisti hanno dimostrato di non aver difficoltà a sconfiggere partiti nazionali e leader locali impopolari, una eventuale vittoria di Bonaccini potrebbe attestare che l’argine possibile è la buona amministrazione, l’efficienza delle istituzioni nei rapporti con i cittadini. Se invece a prevalere dovesse essere la Lega di Salvini - con la candidata locale Lucia Borgonzoni - allora il messaggio sarebbe l’esatto opposto: la conferma dell’incontenibile crescita politica nelle urne dei populisti-sovranisti perché la scomparsa dei Cinque Stelle come interprete del disagio ha trasformato la Lega nell’unico rappresentate di una profonda insoddisfazione che le altre forze politiche non riescono ad intercettare. E ancora: da un lato c’è la macchina elettorale di Bonaccini, basata sulla mobilitazione di piazza delle "Sardine" e una coalizione di sindaci incaricati di portare alle urne tutti i potenziali elettori, proprio come avveniva nella seconda metà del Novecento, e dall’altro c’è la task force digitale di Salvini che punta sull’immagine e i messaggi del leader rilanciati con ritmi martellanti dai social network al fine di inondare il web e contagiare - con qualsiasi espediente - i più giovani.
C’è ne è abbastanza per dedurre che il voto di oggi non è una normale consultazione regionale ma un check up nazionale: l’Emilia-Romagna è la linea Maginot dell’opposizione al populismo. Se cade, l’Italia politica diventerà un posto diverso. E le conseguenze andranno ben oltre la sorte del traballante Conte bis.