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 2020  gennaio 25 Sabato calendario

Orsi & Tori

È più pericolosa per l’economia europea la nuova infezione che è esplosa in Cina o la volontà del presidente Donald Trump di strappare maggiori contributi militari all’Europa minacciando di introdurre pesanti dazi? È più pericoloso per la stabilità del governo italiano il passo indietro di Luigi Di Maio oppure una vittoria della Lega alle elezioni in Emilia Romagna? È più pericoloso per il mondo intero che Trump non voglia saperne di iniziative per la sostenibilità del pianeta oppure, come è dimostrato, che da nemico degli Ott, cioè i padroni del digitale della Silicon Valley, il presidente Usa sia diventato un loro protettore? Sulla prima domanda è lo stesso Trump che risponde, pur facendo riferimento agli Usa, nell’intervista esclusiva a Cnbc, a Class Cnbc e quindi a MF-Milano Finanza. Il collega Joe Kernen gli ha chiesto a Davos se l’aver trovato un cinese infetto nello Stato di Washington fa temere un’epidemia negli Usa e nel resto del mondo. La risposta è netta: «No. Per niente. È tutto sotto controllo. È una persona arrivata dalla Cina ed è isolata. Andrà tutto bene». Ma Joe rilancia: ma riguardo al presidente Xi, ci sono voci che dalla Cina non ci sarà molta trasparenza sul virus di Wuhan... Ma Trump non dà il minimo riscontro sulla trasparenza della Cina e coglie solo il riferimento al presidente Xi per tesserne le lodi: «Ho un ottimo rapporto con il presidente Xi. Abbiamo appena firmato ciò che è probabilmente il più grande accordo mai fatto. Ha certamente il potenziale per esserlo. È stato un periodo interessante ma ce l’abbiamo fatta. Penso che il nostro rapporto sia molto, molto buono».Quindi il virus di Wuhan non è pericoloso, e Trump ha messo a posto le cose con la Cina, fino a dire che il suo rapporto con il presidente Xi è «molto, molto buono». Vale infatti 250 miliardi di dollari per gli Usa in termini di dazi e di impegno a maggiori acquisti di prodotti americani da parte dei cinesi.
Ed ecco perché a questo punto a essere più pericolosa per l’Europa è la volontà di Trump di mettere l’Europa nel mirino: «...Ora che la Cina è a posto mi sono incontrato con la nuova presidente della Commissione europea... Abbiamo avuto un ottimo rapporto ma io ho detto: se non otteniamo qualcosa, dovrò arrivare ad agire, mettendo dazi molto alti sulle loro auto e su altri loro prodotti che entrano nel nostro Paese. Noi siamo stati in deficit per molti anni, più di 150 miliardi con l’Europa. Un accordo devono farlo. Non hanno scelta...». Appunto, ora che il rapporto con Xi Jinping è ottimo e che con Boris Johnson fuori dalla Ue sarà facile raggiungere un accordo, è il turno dell’Europa. L’alternativa per Bruxelles e i Paesi della Ue è una sola: accettare di pagare di più per il costo della difesa che garantisce la Nato. Altrimenti, dazi sulle auto e sul resto. Perché, America First. E ora l’America, secondo Trump, va benissimo, nonostante il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, abbia sbagliato tutto secondo il presidente Usa, rialzando i tassi, per poi abbassarli, ma non volendo che diventino negativi. Così il pil Usa cresce del 2%, mentre, secondo Trump, senza gli errori di Powell, sarebbe salito del 4%.
Speriamo che si ricordi di Giuseppi.
Ma è anche il presidente Giuseppe Conte che deve darsi da fare con Trump, anche se in primo luogo deve essere ancora più abile di quanto è stato finora per ammortizzare il primo fatto nuovo avvenuto là dove ci sono le Stelle, cioé l’inevitabile sobbalzo provocato delle dimissioni di Di Maio. C’è chi interpreta la mossa del trentatreenne di Pomigliano d’Arco come un tentativo di ammortizzare il sicuro forte calo del Movimento in Emilia-Romagna. Venerdì 24 nell’intervista al Corriere, Vito Crimi da Palermo, precisando che non è né un reggente né un traghettatore, ma è il capo politico dei 5 Stelle con tutti i poteri che aveva Di Maio, si è affrettato a dire che non cambierà la linea del predecessore e che la carezza di quest’ultimo sul volto dello stesso Crimi è un segno dell’amicizia profonda fra i due.
Teoricamente, quindi, il passo indietro di Di Maio non dovrebbe avere effetti sul governo. In pratica, invece, li avrà in due casi: 1) se la realtà del voto confermerà i sondaggi, che per i 5Stelle prevedono letteralmente un crollo. 2) se, contemporaneamente, vincerà Matteo Salvini, o meglio il centro-destra e anche il Pd dovesse avere un crollo. Sondaggi non ufficiali indicavano giovedì 23 che il centro-destra era avanti di 10 punti. Se questo diventerà realtà, nonostante sia vero che sono elezioni regionali e non nazionali, sarà difficile che il governo non traballi e quindi che Conte non debba prendere provvedimenti. Nella chiave di separare temporalmente i fatti negativi per il governo, la mossa di Di Maio di dimettersi è stata saggia e quindi è meno pericolosa della vittoria di Salvini, ma se la vittoria di quest’ultimo dovesse combinarsi con un crollo profondo dei 5Stelle e un contemporaneo risultato molto negativo del Pd, allora la mossa anticipata di Di Maio non sarebbe sufficiente.
Resta da capire se è più pericoloso per il mondo che Trump non ne voglia sapere di sostenibilità oppure che Trump sia diventato di fatto un sostenitore del mondo della Silicon Valley. E il paradosso è che a Davos, senza mitizzare il summit, è apparso chiaro che ormai Trump ha fatto pace con la Silicon Valley perché nessuno degli esponenti presenti (tutti, almeno a parole, impegnati a combattere per salvare il pianeta) si è permesso nemmeno di ricordare la cosa più grave e più pubblica che Trump ha fatto, cioè di aver fatto uscire gli Usa dall’accordo di Parigi che in primo luogo taglia le emissioni pericolose per il clima e per la salute delle popolazioni.
A poco conta che Trump abbia ripetuto a Davos che gli Usa sosterranno il progetto di mille miliardi di alberi da piantare nel mondo. Ai tempi della sua elezione Trump ha usato alla grande i social, ma diceva peste e corna per i dominatori del digitale, da Google a Facebook, usando solo il più debole dei social, Twitter, per la sua propaganda diretta.
Trump era contro gli Ott per due motivi: 1) perché di idee politiche erano tutti liberal e democratici, anche per gratitudine verso i presidenti democratici che li avevano sostenuti e fatti crescere con agevolazioni enormi; 2) perché erano troppo potenti e pericolosi perfino per il presidente degli Stati Uniti.
Come mai la situazione è cambiata e ormai gli Ott non criticano mai, almeno pubblicamente, il presidente atipico di nome Trump? Ancora per due motivi: 1) perché comunque Trump ha aggiunto additivi, sia pure per scelta generale, alle agevolazioni di cui la Silicon Valley aveva goduto, e cioè il taglio delle tasse e una difesa accanita, per non essere incoerente con America First, contro i Paesi che vogliono imporre tasse ai vari Ott, con in testa molti europei, a cominciare dalla Francia di Emmanuel Macron, che infatti è stata la prima a essere colpita per i dazi sullo champagne; 2) perché neppure Trump ha finora stimolato le autorità di controllo della concorrenza sui mercati ad attuare un’azione nei confronti di chi come Google controlla il 94% del mercato del search e ha come concorrente un gigante come Microsoft che ha appena il 4% del mercato; idem con Facebook e con Jeff Bezos, re di Amazon. Forse l’unico verso cui Trump ha preso un’iniziativa limitativa è proprio Bezos, che aspirava ad accrescere il suo stratosferico fatturato con i 10 miliardi di dollari della maxicommessa Cloud per l’amministrazione americana. Con una mossa decisa, Trump è andato sull’usato sicuro, assegnando la commessa a Microsoft, che pur essendo un gigante con una capitalizzazione enorme, non ha un business model per interferire nella politica.
Con le due mosse (il taglio delle tasse come per tutte le altre imprese e la rinuncia a fare pressione sulle autorità antitrust, che pure hanno iniziato alcune procedure, Trump) è diventato di fatto un benefattore economico-finanziario anche degli Ott e uno strenuo difensore anche sul piano dei brevetti tecnologici cercando di tener fuori dal mercato Usa i giganti cinesi, a cominciare da Huawei.
Di fatto, quindi, in questo terzo caso di pericolosità si realizza non una differenza fra cosa è più pericoloso (l’anti-sostenibilità di Trump o il potere degli Ott) ma una congiunzione dei due pericoli, che insieme generano un super pericolo per il pianeta e per il potere tecnologico.
Sarà interessante vedere come, sul settore tecnologico, si potrà evolvere il rapporto di Trump e di America First con i giganti cinesi. Il presidente parla nell’intervista che MF-Milano Finanza pubblica in esclusiva, di rapporti straordinari con il presidente Xi e di uno straordinario valore dell’accordo firmato. Possibile che la Cina si accontenti di contenere i dazi sui suoi prodotti in cambio dell’acquisto maggiorato dei prodotti americani e non ritenga di voler far espandere i suoi giganti digitali negli Usa, dove peraltro alcuni colossi sono già quotati al Nasdaq o al Nyse a cominciare da Alibaba, ma anche a vari operatori del settore turistico digitale, come è emerso al convegno di apertura dell’Anno del Turismo e della Cultura Italia-Cina a Roma nei giorni scorsi. In quell’evento fra i relatori è stata Jane Jie Sun, ceo di trip.com (da non confondere con Tripadvisor): capitalizzazione attuale 17 miliardi di dollari. Il turismo per i cinesi è tutt’altro che indifferente sul piano politico, essendo non solo un business ma anche uno strumento di relazione fra i popoli. Può colpire quindi che gli Usa non abbiano nel settore giganti analoghi.
Ma questa è un’altra tematica, e un freno allo sviluppo può avvenire non per limitazioni come per Huawei ma per vicende come quella del virus di Wuhan. Che è paradossalmente un’occasione per la valorizzazione non solo della scienza medica ma anche del data science. Vale infatti ricordare che per la penultima epidemia dalla Cina, l’Aviaria, derivante essenzialmente dalle anatre, per la prima volta l’Organizzazione mondiale della sanità fece ricorso al primo scienziato del Big data, il professor Mario Rasetti, che dopo aver analizzato milioni di dati concluse che l’Aviaria non sarebbe diventata una pandemia. E il mondo si rimise in moto. È presumibile che la squadra del professor Rasetti sia magari già al lavoro per predire se il nuovo virus diventerà un flagello mondiale. Ma su questo tema, per quanto vale, Trump si è già pronunciato: nessun pericolo. Magari anche con lo scopo di evitare una rallentamento dell’economia, conseguente alla ridotta mobilità mondiale, e di conseguenza, mentre deve difendersi dall’impeachment, con un appannamento della sua carta più importante per la sua rielezione, assieme alla crescita della borsa americana (+50% dalla sua elezione).
P.S. Non sarò sfuggito ai lettori che nonostante la precarietà dell’economia italiana, comprare Italia attraverso i titoli di Stato o azioni del segmento Star della borsa italiana è stato negli ultimi 12 mesi il miglior investimento possibile rispetto a qualsiasi altra scelta straniera. Se i partiti se ne ricordassero e non preparassero colpi bassi al sistema economico nazionale per conquistare il potere, Trump potrebbe invidiare l’Italia. (riproduzione riservata)