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 2020  gennaio 25 Sabato calendario

Il virus mette a rischio l’1,2% del Pil cinese

Per Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario internazionale,è ancora presto per valutare l’impatto sul’economia cinese e globale della diffusione del nuovo coronavirus emerso a Wuhan: l’Fmi lo considera uno dei non pochi rischi downside (orientati al ribasso) a uno scenario di crescita globale confermato al 3,3% per quest’anno. Ma l’impatto sull’economia cinese e sui mercati finanziari anche internazionali sta rapidamente esplodendo, in parallelo all’estensione delle restrizioni al trasporto pubblico e alle persone.
Non è un caso che non fosse mai accaduto che l’ultima sessione della Borsa di Shanghai prima del Capodanno lunare finisse con un cedimento del 2,8% (il peggiore da otto mesi) e che i titoli delle compagnie aeree (non solo asiatiche) e di altre società legate al settore viaggi e consumi abbiano registrato un fine settimana nero. 
A simboleggiare una situazione già di crisi è la chiusura del Disney Resort di Shanghai, parco di divertimenti che accoglie ogni anno quasi 12 milioni visitatori, mentre le autorità di Macao hanno ventilato una prossima chiusura di alcuni casinò (i cui operatori sono stati tra i più penalizzati dagli investitori).
Numerosi broker stanno rivedendo al ribasso le loro valutazioni sugli investimenti nelle società (dal turismo ai consumi) che rischiano di registrare il maggiore impatto negativo, mentre compaiono i primi allarmi anche sulle prospettive macroeconomiche. Secondo gli analisti della National Australia Bank, il Pil cinese dovrebbe perdere un punto percentuale già nel primo trimestre. Shaun Roache, capo economista Standard & Poor’s per l’Asia-Pacifico, ipotizza una contrazione del Pil del’1,2% se le spese dei cinesi per trasporti e divertimenti in luoghi pubblici dovessero scendere del 10%, visto che i consumi rappresentano infatti un propulsore sempre più importante per una economia in transizione : «I settori esposti ai consumi, specialmente quelli fuori casa, ne risentiranno maggiormente, mentre il rafforzamento dell’avversione al rischio e più severe condizioni finanziarie potrebbero amplificare l’impatto dell’epidemia, eventualmente estendendosi agli investimenti».
Di sicuro conseguenze molto gravi le subirà l’economia di Wuhan: una città di 11 milioni di abitanti al centro di un’area che cresce più della media nazionale (+7,8% l’anno corso dopo +8% nel 2018), grazie a forti investimenti per un upgrading del sistema produttivo locale in direzione di nuove tecnologie e al di là dell’industria pesante.
Wuhan rappresenta un campanello di allarme anche per il settore delle assicurazioni. «Ci accorgiamo all’improvviso di situazioni di emergenza e poi ce ne dimentichiamo», ha sospirato al Forum di Davos il ceo del colosso delle assicurazioni Axa, Thomas Buberl, secondo cui in realtà l’emergere di misteriosi focolai infettivi potrebbe diventare una «nuova normalità» forse anche a causa dei cambiamenti climatici: «Dovremo studiarne meglio l’impatto sulla salute». Proprio per svalutare il problema ambientale, invece, il segretario al Tesoro americano Steven Mnuchin, in un panel a Davos, ha dichiarato che, rispetto a cambiamenti climatici ancora non misurabili, il caso Wuhan o il caso Iran appaiono più importanti.
Nella cittadina svizzera il Ceo della Coalition for Epidemic Preparedness Innovations, Richard Hatchett, ha annunciato tre partnership – con due aziende americane, Inovio Pharmaceuticals e Moderna, e con l’Università del Queensland – per sviluppare vaccini contro il misterioso coronavirus secondo tre eprcorsi differenti: «Contiamo di iniziare i test clinici il prima possibile, magari in estate, entro 16 settimane». Altre società biotecnologiche stanno cercando di sviluppare un vaccino (ad esempio, Novavax): tutte stanno registrando forti rialzi in Borsa, anche se le probabilità di successo restano aleatorie.