la Repubblica, 25 gennaio 2020
Breve storia del tie-break nel tennis
N egli Anni 60 sono stato molto vicino a Jimmy Van Alen, uno dei massimi contributori del Museo del Tennis di Newport, che mi ha ospitato più volte prima dei Campionati degli Stati Uniti, durante il suo torneino da amatori.
Mi pare che Jimmy si sia risvegliato dalla sua tomba nel momento in cui Roger Federer si risvegliava durante un tie-break, che l’inventore dello stesso non avrebbe approvato. Van Alen inventò il tie-break, inizialmente ai 5 punti, e lo sperimentò nei campionati universitari Usa: il risultato fu tanto favorevole che la Federazione Americana lo adottò per i campionati Usa di Forest Hills, e si videro presso il seggiolone degli arbitri sorgere e sventolare bandierine rosse, a significare che il tie-break era in corso. Era il 1970. Il maggior clamore si verificò durante la semifinale di Wimbledon 1991, vinta dal germanico Stich sullo svedese Edberg col triplice punteggio di 4-6 7-6 7-6 7-6.
Oggi, vista la inefficienza della Federazione Internazionale, ci sono formule diverse al quinto set: a Wimbledon il tie-break sul 12 pari, ai 7 punti; allo Us Open sul 6 pari, ai 7 punti; al Roland Garros non è previsto; all’Australian Open il cosiddetto super tie-break a 10 punti, senza il quale Federer sarebbe stato battuto: Roger ha vinto 10-8 un match che avrebbe perduto 7-4. Giocava contro un tennista che conosceva, John Millman, mugnaio australiano che lo aveva battuto agli Us Open, n.47 del mondo dopo esser stato n.33, e il significato del match diventato a un tratto difficile per l’efficienza della battuta e del diritto avverso, si vedeva non solo dai palleggi, ma dai moti visivi di Mirka e di Ljubicic, e di quanti facevano il tifo per l’uomo di Basilea e non per quello di Brisbane.
Roger vale ormai, nella considerazione dei suoi sostenitori, che non riesco a definire tifosi ma adoratori, più della nazionalità sua o dell’avversario. Ho l’abitudine di adocchiare quel che si chiama l’angolo, e cioè la tribuna dei privilegiati che tifano per uno dei due giocatori impegnati. E avvertivo nei capelli scomposti di Mirka, e nelle guance risucchiate dalle grida di Ljubicic, che conosco bene da quando fu allievo del mio allievo Piatti, come una partita più che normale per Roger si stesse trasformando in un rischio.
Millman serviva non solo forte ma tagliato, uno slice che quasi mai permetteva a Federer di comandare lo scambio, e il suo diritto era capace di impedire allo svizzero di comandare il gioco. Non gli accadeva certo quel che in fondo tocca agli avversari di Federer, essere ammirati dalle scelte tecnico-tattiche dello svizzero. Così la partita scivolava verso il tie-break finale, e vedeva, come ho detto, il punteggio quasi definitivo di 8 a 4 per l’australiano. Ma Federer poteva risorgere anche da simile circostanza, e avere un’altra storia da raccontare, più incredibile di quante gliene siano avvenute.