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 2020  gennaio 24 Venerdì calendario

L’amata odiata Margaret Court

Il secondo campo più importante dell’Australian Open, cioè lo stadio in cui Fabio Fognini si è spolmonato per battere Thompson e Andreas Seppi per perdere da Wawrinka, dal 2003 è intitolato a una donna.
Si chiama Margaret Smith (sposata Court) e appartiene a un’altra epoca. È nata il 16 luglio 1942 nell’entroterra del New South Wales e risiede a Perth, dove nel ’95 ha fondato una chiesa pentecostale dal cui pulpito – in qualità di pastore – arringa i fedeli sostenendo tesi che hanno fatto indignare mezzo mondo. Qualche esempio: il tennis è pieno di lesbiche; i gay possono essere aiutati e curati; i figli delle coppie transgender sono figli del diavolo; i matrimoni tra omosessuali legittimano ciò che Dio chiama pratiche abominevoli. E via dicendo. Nel 2017 l’arzilla vecchietta, 77 anni, ha dichiarato di voler boicottare i voli Qantas perché la compagnia di bandiera australiana sosteneva l’unione civile dei gay.
Nella sua vita precedente, tra il 1960 e il 1973, quando il tennis era uno sport molto erbivoro per poche elette, giocando un tennis agile e ginnico da cangura cresciuta rimbalzando sul verde, Margaret Court ha vinto 24 tornei del Grande Slam (11 Australian Open, 5 Roland Garros, 3 Wimbledon, 5 Us Open), il record assoluto di Major che Serena Williams sogna di eguagliare a Melbourne e superare entro la fine dell’anno, centrandone quattro nello stesso anno solare (prima donna nell’era Open e seconda nella storia dopo Maureen Connolly) nel ruggente 1970, impresa di cui ricorre in questi giorni il cinquantenario. Una campionessa enorme, insomma, un totem dello sport in ogni angolo del pianeta, insieme a una modella (Elle McPherson), a un pugno di attrici (Nicole Kidman, Naomi Watts, Kate Blanchet), a una cantante (Olivia Newton John), tra le icone dell’Australia.
A questo punto, però, Melbourne we have a problem. Da un lato la Federazione aussie non può far passare sotto silenzio l’anniversario rotondo del Grande Slam della sua fuoriclasse più grande, dall’altro si teme la protesta di chi (tanti) si è sentito offeso dalle prese di posizione nette del pastore Court, a cominciare da Martina Navratilova, campionessa leggendaria e attivista Lgtb, omosessuale dichiarata: «Molto tempo fa la perdonai quando affermò che ero un cattivo esempio perché sono lesbica – ha detto Navratilova —, benché mi fossi indignata anche per i suoi commenti razzisti sull’apartheid in Sudafrica. Ora è chiaro chi sia Court: una fantastica giocatrice di tennis e una razzista omofoba. La sua non è solo un’opinione. Lei sta attivamente cercando di evitare che la comunità Lgtb ottenga diritti uguali alle altre persone. Per questo credo sia giusto rinominare lo stadio dell’Australian Open: io credo che Evonne Goolagong Arena suoni molto meglio».
Pur temendo l’ostilità dell’ambiente del tennis e la presenza di manifestanti ai gate, la Federtennis australiana ha intenzione di celebrare Margaret Court lunedì sul centrale (intitolato, questa volta all’unanimità, al mitico Rod Laver). «La festeggeremo come tennista, ma noi rimaniamo per l’eguaglianza e l’inclusività» ha precisato il presidente Craig Tiley. Court ha accettato l’invito a denti stretti: «Mi daranno una targa: un po’ poco, ma meglio di niente. Mi criticano perché trasmetto i precetti della Bibbia. Però se parliamo di tennis è meglio».
Ecco, sì, parliamo di tennis.