La Stampa, 24 gennaio 2020
Intervista a Carlo Bertazzo, nuovo ad di Atlantia
«Revocare la concessione ad Autostrade per l’Italia vorrebbe dire compromettere un’azienda e mettere a rischio un gruppo leader mondiale nel suo settore, e quindi importante per il Paese. Noi diamo concreta disponibilità al Governo per trovare una soluzione equilibrata nell’interesse generale». Carlo Bertazzo dal 13 gennaio è il nuovo amministratore delegato di Atlantia, la holding di partecipazioni cui fa capo Autostrade per l’Italia, da mesi al centro dei riflettori, ma anche società come Telepass, Adr, Abertis: un gigante delle infrastrutture presente in 23 Paesi che impiega un esercito di 31 mila dipendenti. Il manager, in questa sua prima intervista nel nuovo ruolo, annuncia la svolta per la holding «destinata a diventare una holding strategica di partecipazioni». E rilancia l’impegno negli investimenti «per la manutenzione e l’ammodernamento della rete autostradale».
Dottor Bertazzo, lei arriva in Atlantia in un momento difficile. Come si riparte?
«Quanto è accaduto con il ponte Morandi è qualcosa di gravissimo, che non doveva succedere e che rappresenta uno spartiacque per l’azienda. Chiediamo anzitutto scusa ai familiari delle vittime e a tutti gli italiani. A questo tragico evento è seguita l’uscita delle intercettazioni. Nel gruppo non avremmo mai nemmeno potuto immaginare che ci fossero persone così distanti dall’etica aziendale e dal nostro modo di vedere e di operare. Da qui dobbiamo ripartire. Puntando sul ricambio manageriale e sull’investimento sui giovani talenti, su un radicale cambio di cultura aziendale, sulla ri-motivazione di tutti i lavoratori delle aziende del gruppo, sulla misurazione costante delle performances operative. E intendiamo anche cambiare la struttura della holding».
In che modo?
«Vogliamo trasformarla in una holding strategica di investimento. Lasceremo piena autonomia alle partecipate con cda e management più forti. La holding integrata come in passato non ci sarà più».
Non rischiate di perdere la presa sulle partecipate?
«Vogliamo aprire il loro capitale, coinvolgendo partner che, in un orizzonte temporale di lungo termine, possano apportare non solo capitali ma soprattutto conoscenze industriali, tecnologiche, di mercati e di relazioni, oltre che disciplina e metodo. In questo modo intendiamo anche allargare il portafoglio di partecipazioni e il suo perimetro: non solo autostrade e aeroporti. Punteremo anche su altre infrastrutture: reti, porti, energia, in Italia e all’estero».
Siete disposti a scendere sotto il 50% nelle partecipate?
«Non escludiamo nulla, dipende da come si svilupperanno i progetti. Niente è tabù, dipende dalla qualità dei partner e dalla possibilità di creare con loro maggior valore. Ci potrà essere una prima fase in cui manterremo il controllo delle partecipate e una seconda fase in cui potrebbe non essere più così. In ogni caso ci sono molti partner, internazionali e anche italiani, interessati a condividere con noi progetti di sviluppo. Ciò significa che molti credono in Atlantia, nel suo management e nei suoi progetti».
Parliamo di Aspi, delle mancanze nella manutenzione. Possibile che tutto sia avvenuto all’insaputa di Atlantia?
«Il cda di Atlantia cura gli indirizzi strategici delle controllate. I programmi di manutenzione e le sue modalità non rientrano tra le cose che abbiamo mai discusse. Sicurezza e reputazione sono sempre stati obiettivi assoluti dettati dal consiglio. È evidente che qualcosa non ha funzionato o che non è stato fatto a sufficienza da Autostrade per l’Italia. Ognuno dovrà assumersi le proprie responsabilità. Lasciamo che la magistratura faccia il suo corso».
La questione della revoca della concessione ad Aspi è ancora sul tavolo. Le dimissioni di Di Maio dalla guida dei 5 Stelle possono favorire la riapertura di un dialogo?
«Posso dire questo: c’è sempre la massima disponibilità da parte di Aspi a trovare tutte le forme di equilibrio e di accordo con il Concedente per superare questa fase. Abbiamo volontà e determinazione per fare un cambio di passo che potrà portare benefici importanti al Paese. Il nostro dovere, però, è anche quello di difendere le aziende, le persone che ci lavorano e la ricchezza che le aziende portano al Paese. Revocare la concessione vuole dire compromettere un’azienda e mettere a rischio un gruppo. Peraltro, e lo dico sottovoce, senza ancora un accertamento delle responsabilità da parte dell’autorità giudiziaria».
Cosa farete per garantire la sicurezza della rete?
«Il cda di Autostrade per l’Italia ha approvato le linee di un piano di trasformazione: l’obiettivo è consegnare a fine concessione, nel 2038, un’infrastruttura completamente ammodernata per garantirne l’allungamento della vita attuale. A quella data ci saranno pezzi di autostrada che avranno oltre 100 anni. Nei prossimi 4-5 anni sulla manutenzione impegneremo 2 miliardi di euro, 650 milioni in più di quanto era previsto in precedenza. Ci sono poi investimenti per altri 4 miliardi di euro in cui punteremo anche su tecnologia e innovazione».
Sarà visibile il vostro impegno?
«Chi viaggia vedrà la polvere dei cantieri aperti. Ci saranno inevitabilmente dei disagi e possiamo pensare a forme di flessibilità tariffaria, con sconti e rimborsi, laddove la fluidità del traffico scenderà al di sotto di certi standard. Siamo consapevoli che la nostra credibilità è ai minimi storici. Proprio per questo per noi il recupero della fiducia dei clienti è fondamentale, una priorità».
L’Anas saprebbe fare questo lavoro, in caso di revoca?
«Non mi esprimo, ma qualcuno dovrà pensarci: sono progetti in cui servono competenza, velocità e massa critica. Noi possiamo dare garanzie al Concedente. Anzi: vorrei che con noi fosse implacabile nei controlli».
Ha ricevuto una telefonata dal ministero da che è arrivato?
«No, ma con Autostrade per l’Italia il dialogo è continuo».
La modifica unilaterale della concessione, attraverso il Milleproroghe, ha scatenato le agenzie di rating che vi hanno tagliato il merito di credito. Cosa rischiate?
«Autostrade avrà difficoltà ad accedere al mercato, certo non alle condizioni di prima. In caso di revoca, senza ricavi e con indennizzi ridotti e differiti nel tempo, dovrebbe immediatamente rimborsare i debiti e quindi difficilmente potrebbe evitare un default. Sarebbe una cosa gravissima per il Paese. Per Atlantia, invece, si tratterebbe di garantire una parte del debito di Aspi. Abbiamo linee di credito, ma con la revoca dovremmo iniziare a fare delle riflessioni».
Potreste offrire al governo la disponibilità a rivedere il rendimento delle tariffe?
«Ripeto: c’è la massima disponibilità a dialogare. Fermo restando alcuni principi: la società deve mantenere un equilibrio economico-finanziario e deve essere messa in grado di mantenere la bancabilità del suo programma di investimenti».
Per voi un intervento in Alitalia è un capitolo chiuso?
«Abbiamo comunicato a metà novembre quali sono le condizioni necessarie per poter valutare eventualmente questo investimento».