Il Sole 24 Ore, 24 gennaio 2020
Il Crodino lascia Crodo
Il Crodino lascerà Crodo. È dal 1964 che l’aperitivo “biondo”, proprietà della Campari, viene prodotto nello storico stabilimento della Val d’Ossola. Poi il colosso italiano dei liquori ha venduto la fabbrica – ma non il marchio – ai danesi di Royal Unibrew, quelli della Ceres per intendersi, e da allora le sorti del Crodino hanno preso un’altra strada. Un accordo tra le parti, di fine 2017, impegna la Campari a produrre a Crodo l’omonimo analcolico ancora per tre anni, cioè fino a dicembre del 2020. E poi? «E poi il Crodino non deve lasciare Crodo», dice a gran voce il sindaco, Ermanno Savoia. Che per stasera ha chiamato a raccolta amministratori, parlamentari nazionali, sindacalisti e lavoratori in un’assemblea pubblica, con l’obiettivo di convincere la Campari a non andare via.
Il rischio è che, a rimetterci, non sia solo l’orgoglio cittadino, ma anche una ventina di lavoratori dello stabilimento. Una delle poche realtà produttive di una certa dimensione in una valle che, per lo più, vive ancora di montagna. «A novembre – racconta il sindaco – abbiamo incontrato le parti aziendali, e Campari ci ha fatto capire che dal primo gennaio del 2021 sposterà la produzione del Crodino nel suo stabilimento di Novi Ligure». Senza alcuna possibilità di rivedere gli accordi del 2017, lascia intendere il sindaco. «Tra l’altro – aggiunge Ermanno Savoia – la Campari si è sempre vantata dell’importanza della sorgente d’acqua di Crodo come ingrediente chiave nella preparazione del Crodino. Ma quell’acqua, dall’anno prossimo, nella ricetta dell’analcolico non ci potrà essere più».
Ai sindacati non è stata ancora presentata nessuna lista di esuberi. E secondo la Fai-Cisl, il problema a Crodo, più che della Campari, è dei danesi di Royal Unibrew. «Dalla Campari nel 2017 i danesi comprarono lo stabilimento e anche i marchi Lemonsoda, Oransoda e Acqua di Crodo», racconta Massimiliano Albanese, coordinatore nazionale Fai Cisl per il gruppo Campari. Un colosso da più di 1,7 miliardi di fatturato l’anno e la settima industria alimentare italiana. Allora la multinazionale danese si accordò con Campari per continuare a produrre il Crodino a Crodo, peraltro a un prezzo molto vantaggioso per il colosso italiano. «A fine 2017 – continua Albanese – ci fu un incontro sindacale, in cui si mise nero su bianco l’impegno a garantire il mantenimento occupazionale di tutti e 80 i lavoratori dello stabilimento comunque alla fine dei tre anni. Sia che il Crodino fosse rimasto, sia che si fosse trasferito».
Per i sindacati, insomma, più che il futuro della città quello che conta è l’occupazione. E puntano il dito contro i danesi di Royal Unibrew, richiamandoli alle loro responsabilità: «Campari – dice Albanese – si è anche detta disponibile a mantenere una quota di produzione del Crodino, chiamiamola di backup, nello stabilimento di Crodo anche oltre il 2020, purché a parità di costi di produzione di quelli che avranno a Novi Ligure. Royal Unibrew su Crodo ha investito, è vero, ma forse non abbastanza». La multinazionale danese, sostengono i sindacati, avrebbe messo le mani avanti, adducendo la scusa della Sugar e della Plastic tax. «Noi – conclude Albanese – ci aspettiamo il rispetto dell’accordo del 2017 sulla tenuta occupazionale, con coerenza».
Un prossimo incontro, fra le parti sociali, è atteso per aprile, quando verrà verificata la tenuta dei volumi produttivi dello stabilimento e si entrerà più nel merito del futuro di Crodo. Intanto, il sindaco Savoia ha deciso di far sentire la sua voce e quella della comunità.
Dalla Campari, invece, fanno sapere che il dialogo tra le parti è ancora aperto e che è prematuro giungere a conclusione. L’unica certezza, dicono, è la scadenza del contratto al 31 dicembre 2020: il resto sarà oggetto di discussione negli incontri calendarizzati per le prossime settimane.