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 2020  gennaio 24 Venerdì calendario

La Chiesa: evangelizzare i robot

I robot sono già entrati in fabbrica, c’è chi li sta progettando per le case come ausiliari domestici, vi sono prototipi che assistono gli anziani parzialmente non autosufficienti. L’automazione procede a grandi passi e in qualche misura è uno degli sviluppi del secondo stadio dell’informatica, quello dell’intelligenza artificiale.Non è un caso quindi che qualche giorno fa il giornale dei vescovi italiani, Avvenire, abbia pubblicato un articolo intitolato «L’evangelizzazione dei robot, una nuova sfida», riprendendo un saggio della rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica, l’unica rivista cattolica ad essere tuttora esaminata in fase di bozza dalla Segreteria di Stato della Santa Sede e a dovere essere approvata prima di andare in stampa. Il fatto quindi che pure questa rivista affronti il problema dell’«anima dei robot» è un segnale dell’attenzione della Chiesa verso questa rivoluzione in atto: «Nell’era dell’intelligenza artificiale l’esperienza umana sta cambiando profondamente, ben più di quanto la stragrande maggioranza della popolazione mondiale riesca a vedere e a comprendere».
Secondo Civiltà Cattolica: «I preconcetti e le parzialità nella scrittura degli algoritmi sono inevitabili. E possono avere effetti molto negativi sui diritti individuali, sulle scelte, sulla collocazione dei lavoratori e sulla protezione dei consumatori.
I ricercatori hanno rilevato pregiudizi di vario tipo presenti negli algoritmi, in software adottati per le ammissioni universitarie, le risorse umane, i rating del credito, le banche, i sistemi di sostegno dell’infanzia, i dispositivi di sicurezza sociale e altro ancora. Gli algoritmi non sono neutri. La crescente dipendenza della socio-economia dall’informazione artificiale conferisce un enorme potere a coloro che programmano gli algoritmi»
In che modo evangelizzare il mondo dell’intelligenza artificiale? «Portando agli esperti di dati e agli ingegneri del software- è la risposta dei gesuiti – i valori del Vangelo e cambiando in meglio la cultura e la pratica di quell’intelligenza artificiale che contribuirà in grande misura a plasmare il XXI secolo. Seguendo la tradizione della Rerum novarum, si può dire che qui c’è una chiamata alla giustizia sociale».
Anche il parlamento europeo ha affrontato la questione, per ora con una risoluzione che attende di essere tradotta in provvedimenti concreti e propone di dotare i robot più sofisticati e autonomi dello status di «persona elettronica», con diritti e doveri.
Da parte sua la Pontificia Accademia per la Vita ha dedicato la sua ultima assemblea plenaria alla roboetica e ha deciso di affrontare nella prossima l’intelligenza artificiale. Tra i partecipanti vi è stato il francescano padre Paolo Benanti, docente di Teologia morale ed etica alla Pontificia Università Gregoriana: «Gli algoritmi sono delle scatole nere per cui dati determinati input si producono dei risultati, ma nessuno è disposto a dirci fino in fondo come funzionano al loro interno.
Nel momento in cui affidiamo la vita delle persone o cose di particolare valore a questi algoritmi diventa necessario vedere quali sono i criteri di giudizio che gli algoritmi utilizzano. Quando l’uomo ha cominciato a coltivare la terra ci siamo inventati una forma di diritto come la proprietà, con la rivoluzione industriale ci siamo inventati i brevetti e la proprietà intellettuale.
Ecco, qui ci servono nuovi strumenti dal punto di vista del diritto per poter garantire quali siano i valori in gioco».
Una voce laica che mette l’accento sulla necessità di intervenire sulla diffusione dei robot è quella del filosofo Éric Sadin, autore del libro Critica della ragione artificiale, edito da Luiss University Press: «Viviamo la svolta ingiuntiva della tecnologia. È un fenomeno unico nella storia dell’umanità che vede le tecniche richiederci di agire in un modo o nell’altro. Questo non avviene in modo uniforme ma agisce a diversi livelli. Può cominciare come incentivo, per esempio con un’applicazione di coaching sportivo che suggerisce un tipo di integratore alimentare. Oppure avviene a livello prescrittivo, come in caso di valutazione della concessione di un prestito bancario o nel settore del reclutamento che si avvale di robot digitali per selezionare i candidati. È ovvio che non si può lasciare tutto questo all’anarchia».
Concorda Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit): «È vero che abbiamo bisogno di regole. Dobbiamo tenere conto che le nostre azioni hanno delle conseguenze. Come mai l’Oceano è pieno di plastica nonostante sappiamo che si tratta di un materiale non biodegradabile? Questo ci dimostra che a volte gli umani sono più stupidi dei robot. È giusto studiare la realtà dell’intelligenza artificiale e non farci trovare impreparati sull’impatto che ha e avrà su ogni settore della nostra vita. Il problema è la scarsa comprensione dei cambiamenti: sì a produrre tecnologie ma sì anche alla valutazione del rischio. Dobbiamo arrivare a una crescita consapevole, all’Homo sapiens 2.0».
Il rapido emergere dell’intelligenza artificiale rende le macchine sempre più autonome nella loro capacità di comprendere i nostri desideri e bisogni, di rispondervi e addirittura di plasmarli e condizionarli.
Perciò il teologo gesuita padre Antonio Spadaro conclude: «L’ avvento della realtà virtuale «immersiva», che è ancora ai suoi albori, consentirà di trascorrere più tempo entro spazi non fisici.
Questo crescente realismo dei mondi virtuali unito alla potenza dell’ elaborazione digitale sollevano quesiti critici sul futuro della tecnologia e sulle sue implicazioni per l’ umanità. Le scelte che facciamo ora, individualmente e collettivamente, sono in grado di orientare l’intelligenza artificiale in una direzione che può sostenere o che può danneggiare la persona umana. Ecco perché la Chiesa è chiamata a intervenire».