Il Messaggero, 24 gennaio 2020
L’ultima sfilata di Jean-Paul Gaultier
Ci sono le lacrime. Ma di gioia. Quelle che anche se, nella commozione del momento, fanno sciogliere un po’ il trucco è solo per renderlo più intenso. E poi l’ironia, le risate stupite, tutta la spontanea follia di Jean Paul Gaultier, che mercoledì sera ha chiuso col botto e con una lunga antologia illustrata della sua storia (un’ora e mezza di sfilata passate in un veloce rendez-vous) i giorni della haute couture parigina, ma anche un importante capitolo della sua vita e della storia del costume.
Il designer, conosciuto ancora oggi che ha 67 anni come l’enfant terrible della moda per il suo essere sempre un po’ sopra le righe (o forse decisamente avanti rispetto all’epoca vissuta), ha dichiarato che quella al Théâtre du Châtelet è stata non solo la sfilata celebrativa dei suoi esplosivi 50 anni di carriera, ma anche la sua ultima. Rumors affermano che la passerella, ma anche l’attuale sistema moda, gli vadano stretti e gli siano diventati un po’ incomprensibili e, così, abbia deciso di appendere ago e filo al chiodo. Esattamente come, nel 2015, aveva interrotto le collezioni di prêt-à-porter dedicandosi solo all’alta moda e a un’ottantina di clienti fissi all’anno. Non ha, però, nascosto che ci saranno nuove strade e nuovi modi per dar voce alla sua espressività. Magari spettacoli diversi, come i suoi lavori recenti quali Il mondo della moda di Jean Paul Gaultier: dal marciapiede alla passerella, che ha debuttato al Museo di Belle Arti di Montreal nel 2011, o il Fashion Freak Show, che ha visto la luce al Folies Bergère di Parigi nell’ottobre 2018. Ma per ogni rinascita, prima, bisogna un po’ uccidere quello che si era in passato.
LA SEPOLTURA
Gaultier, così, apre la sua ultima sfilata con un funerale. Una bara nera sulle spalle di uomini compunti e di nero vestiti dà il via allo show. Ma l’apparenza inganna e parte il balletto che dalla sepoltura porta direttamente sui tetti di Parigi come un fuoco d’artificio nella notte. È un chiaro omaggio a un film satirico del 1967 molto amato dal designer, Qui êtes-vous, Polly Maggoo? La pellicola ritrae il mondo della moda e i suoi eccessi e si chiede se la moda e Parigi stessa siano morte. Mentre Boy George intona Back to Black di Amy Winehouse parte la carrellata infinita di mezzo secolo di innovazione spregiudicata.
C’è tutto e ci sono tutti alla corte del giullare Jean Paul. Ci sono le sue «bellezze speciali». Dita Von Teese insieme a Irina Shayk sono in lussuriosi abiti: bustier a cono stile Madonna e body multistrato bondage. C’è il debutto in passerella di Paris Jackson, con pantaloni stampati in pelle di serpente, una tunica lunga fino a terra e tanti gioielli colorati. Riappare anche Karlie Kloss in tuta di pizzo bianco e cappello da marinaio, così come Winnie Harlow, con applicazioni di foglie a celare eccessive trasparenze. L’ottantenne Amanda Lear sfoggia le sue gambe accarezzate da una maglia lurex. Ci sono la musa di Almodóvar Rossy de Palma tra volant e copricapo decorato, Béatrice Dalle che fuma lungo la passerella e l’ex Miss France Iris Mittenaere vestita della bandiera francese. Gigi e Bella Hadid sono deliziose marinarette. Presente anche Laetitia Casta, che fu proprio scoperta da Gaultier nel 1994. C’è tutto il mondo dello stilista, che per primo ha proclamato il gender fluid, ha scelto modelli plus size e tatuati o con piercing, oltre che senior, ha dato visibilità al corsetto, alla multiculturalità, alle righe marinare, che gli ricordavano i suoi abiti infantili. Ed è stato un caposaldo della cultura pop.
GLI ESORDI
Da adolescente disegnava abiti per la mamma e la nonna, viveva nei sobborghi parigini e non ha mai frequentato scuole di moda. Giovanissimo, inviò il suo portfolio a Pierre Cardin, che lo scelse come assistente nel 1970. Prima di pensare alla sua linea ha lavorato anche con Jacques Esterel e Jean Patou. Nel 1997 ha lanciato quella couture che ora abbandona, portando anche gli uomini sotto la luce dei riflettori e provocando qualche shock di troppo ai tradizionalisti. Dal 2004 al 2010 è stato direttore creativo di Hermès, portando un po’ della sua insolenza nell’empireo dello chic sofisticato francese. Durante le danze sfrenate nel foyer del Théâtre du Châtelet, che hanno seguito la sfilata e la sua ultima famosa corsa nel finale, ha affermato che non metterà a riposo la sua creatività, ma che amplierà il suo terreno di azione e che «il meglio deve ancora arrivare». E se lo dice lui non avremmo motivo per non credergli.