Linkiesta, 23 gennaio 2020
Ehi, si vota anche in Calabria
«Se ne parla dopo l’Emilia». Nei palazzi romani il mantra è questo, non si sente ripetere altro. In tv la lotta politica è quella tra Bonaccini e Borgonzoni. La posta in gioco, per Pd e Lega, si gioca lì, tra Bologna e Piacenza. Nessuno che dica, neanche per scherzo: «Se ne parla dopo la Calabria». Pochi, pochissimi, anche tra deputati e senatori calabresi, fanno riferimento al fatto che il 26 gennaio si voterà sì in Emilia Romagna, ma pure in Calabria. I leader dei partiti politici giù si sono fatti e si fanno vedere in viaggi lampo, ma più per “dovere d’ufficio” che per spinta politica. Schiacciata dal test emiliano, vitale per il governo Conte bis, la Calabria è sparita dai radar. Sui giornali e nei talk politici le facce dei candidati Callipo, Santelli, Aiello, Tansi non si vedono. Persino le sardine nella manifestazione-concerto del 19 gennaio a Bologna non hanno voluto sul palco la storica band calabrese il Parto delle Nuvole Pesanti, attirandosi le polemiche del cantante del gruppo: «Avere lasciato fuori la Calabria da questo grande evento significa avere fatto un errore politico, significa averla abbandonata a se stessa», ha scritto Salvatore De Siena su Facebook.
Non è una sorpresa, certo che «la Calabria non sia l’Ohio italiano», ha scritto Paride Leporace. Ma, soprattutto per il Partito democratico, questa noncuranza potrebbe rivelarsi un grande errore politico. In una regione caratterizzata da un alto tasso di astensionismo, a questa tornata bisognava riprendersi gli spazi lasciati di nuovo liberi dopo l’afflosciamento del boom dei Cinque stelle.
Alle politiche di due anni fa, i grillini qui raggiunsero il 43%, cifre da capogiro. Poi vennero le europee: i pentastellati scesero sotto il 27%, la Lega salì sopra il 22% e il Pd arrivò al 18,3%, con l’affluenza ferma al 44%. Un cambio di prospettiva che, visti anche i segni più, subito fece dire agli analisti dell’Istituto Cattaneo che il partito di Zingaretti proprio al Sud avrebbe avuto un margine di espansione potenziale: «È in quest’area del Paese che probabilmente si concentrerà la sfida politica ed elettorale tra il partito di Zingaretti e il M5s». Insomma, con il Movimento Cinque Stelle che crollava, sia il Partito democratico sia la Lega in questi territori avrebbero potuto crescere. E le urne calabresi sono il primo test dopo le europee. Ma il numero due della Lega Giancarlo Giorgetti su La7 lo ha detto subito senza mezzi termini: «Della Calabria non importa a nessuno». Salvo poi tornare tutti ai soliti proclami sul Mezzogiorno. Compreso il Pd, che pure ha un suo ministro del Sud.
Così alla fine, dove «prima era tutto Movimento Cinque Stelle», come ha scritto sul Manifesto Giuliano Santoro, la Regione sembra ormai consegnata nelle mani della candidata di centrodestra Jole Santelli.
Tra il Tirreno e lo Ionio, la Sila e l’Aspromonte, all’insofferenza degli elettori di centrosinistra, dilaniati tra indagini giudiziarie e un commissario del partito arrivato da fuori regione, si aggiunge pure il malcontento dei grillini, in Calabria più divisi che mai. Dopo la lotta a distanza tra Luigi Di Maio e la deputata autocandidata Dalila Nesci, alla fine il Movimento ha puntato sul prof universitario Francesco Aiello, vicino al centrosinistra ma senza tessere in tasca. Ma nonostante il voto su Rousseau, il suo nome non mette ancora tutti d’accordo: il presidente della commissione antimafia, il cosentino Nicola Morra, ha già annunciato che non voterà per Aiello, per via di un cugino presunto boss di ’ndrangheta, attirando a sua volta le critiche della eurodeputata grillina Laura Ferrara, cosentina anche lei. Ma nemmeno Aiello in fondo sembra crederci molto, tanto di aver deciso di candidarsi anche come consigliere regionale, dal momento che la legge elettorale regionale garantisce un seggio solo al candidato presidente che arriva al secondo posto. Stessa scelta fatta, tra l’altro, dall’unico candidato outsider, Carlo Tansi, ex capo della Protezione civile regionale, diventato il simbolo della lotta “anticasta” calabrese.
Il Pd di Zingaretti, in questo bailamme, ha lanciato nell’arena la candidatura civica dell’imprenditore del tonno Pippo Callipo, «né di destra né di sinistra» – come lui stesso ha detto – che negli anni è sceso in politica diverse volte cambiando spesso casacca, e che piaceva pure ai grillini. Il governatore Pd uscente Mario Oliverio, sommerso dalle inchieste giudiziarie e dalle pressioni del suo partito, ha fatto un passo indietro nel giorno di Natale, accogliendo l’invito del segretario a ritirarsi per consentire la candidatura unitaria di Callipo. «Io faccio un passo indietro per non consentire che venga distrutto e dilaniato un patrimonio che è la mia storia politica», ha scritto in una lettera aperta a Zingaretti. Callipo, intanto, dalle sue tre sole liste ha estromesso vecchi volti noti – non tutti però – e fatto un po’ di pulizia tra tanti nomi a rischio di concorso esterno in associazione mafiosa. Ma a pochi giorni dalle urne, continua a fare appelli al «voto utile», creando non pochi malumori in casa Cinque Stelle.
Mentre il centrodestra si sfrega le mani. Anche qui, dopo le lotte intestine con il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto, dopo una letterina di Natale di Silvio Berlusconi con l’invito a fare un passo indietro, si è arrivati alla candidata unica Jole Santelli, deputata forzista, nipote del ras socialista cosentino Giacomo Mancini, ex assistente di Cesare Previti e vicesindaco di Cosenza, che proprio sotto la sua amministrazione ha deliberato il dissesto di bilancio in comune. È sotto il suo nome che, a questa tornata, con ben sei liste – contenenti anche tanti transfughi silurati dal centrosinistra – si ritrovano tutti i grossi portatori di voti e preferenze che in Calabria da anni decidono la vittoria di uno schieramento o di un altro. Compresa la lista “Casa delle libertà”, che fa tanto Amarcord, capitanata dall’inossidabile Pino Gentile, da decenni “mister preferenze” del cosentino insieme al fratello ex sottosegretario Tonino Gentile, meglio conosciuto come “il cinghiale”, dopo le intercettazioni sullo stop alle rotative de L’Ora della Calabria per evitare la pubblicazione di un articolo che riguardava il figlio.
Questa volta, a guardare i sondaggi e meno di sorprese, seguendo la logica del trasformismo dell’elettorato calabrese in un regione dove a ogni giunta finora ne è seguita una di segno opposto, con distacchi anche tra i venti e i trenta punti percentuali, a esser decretato come vincitore sarà il centrodestra, con la prima presidente donna della Regione Calabria. Cosa che sarebbe un vanto da giocarsi politicamente per la Lega machista di Matteo Salvini, consegnata al commissario bergamasco Domenico Invernizzi. Che in Calabria si è giocata molti nomi appartenenti al circolo dell’ex governatore Giuseppe Scopelliti, condannato per i bilanci falsi al Comune di Reggio Calabria. E pure un nome mediatico come quello di Vincenzo Sofo, potenziale eurodeputato post Brexit, di origini calabresi, fidanzato di Marion Maréchal Le Pen e fondatore del blog “Il Talebano”.
Salvini è sceso in Calabria, facendosi fotografare con il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, dopo le accuse di “giustizia show” recapitate da ogni parte al magistrato, anche da esponenti del Pd, a seguito della mega-operazione da 13mila pagine e 416 indagati “Rinascita Scott”. Salvini ne ha subito approfittato per far dimenticare le voci sugli uomini della Lega in Calabria vicini alla ’ndrangheta e si è persino dichiarato «fratello» di Gratteri, generando a sua volta polemiche e altre accuse verso il magistrato. A sostegno del quale, però, si è appena tenuta una partecipata manifestazione a Catanzaro, dove ora è atteso Matteo Salvini a pochi giorni dal voto del 26 gennaio. Ma prima di risalire su, per tornare alla campagna che conta, quella dell’Emilia Romagna, però, è passato pure dalla Riace che fu di Mimmo Lucano, suo acerrimo nemico, oggi in mano al leghista Antonio Trifoli, dichiarato non eleggibile. Salvini, per dirla tutta, si è fermato alla Marina del paese, dove è nata una sede della Lega, mentre su nel borgo che fu dei migranti manifestavano le sardine calabre di Jasmine Cristallo.
Dieci, massimo quindici minuti di intervento quelli del senatore leghista, con i cavalli di battaglia messi a punto per la Calabria, dall’agricoltura agli ospedali, elencati di fretta per lasciare poi spazio alla polemica sull’immigrazione. Nessun accenno, invece, all’emigrazione dei quasi 14mila calabresi, soprattutto giovani laureati, che hanno lasciato la regione, in testa in Europa per disoccupazione e unica nel Mezzogiorno e in Italia ad accusare una flessione del Pil nel 2018, che non offre loro nulla o quasi nulla. A questo ci ha pensato la candidata Santelli. Quando, di fronte alle immagini circolate sui social dei pullman carichi di ragazzi per i ritorni al Nord dopo le vacanze natalizie (il treno non sempre, quasi mai, in Calabria è il mezzo più comodo ed economico), ha detto: «Anch’io sono partita per andare a studiare e poi sono tornata. Per questo sono convinta che a questi giovani faccia bene l’esperienza di andare fuori». Senza sapere che chi parte, poi, nella maggior parte dei casi in Calabria non torna più. Neanche per votare il prossimo 26 gennaio.