ItaliaOggi, 23 gennaio 2020
Germania, capitalismo detestato
Sono trascorsi trent’anni e una decina di settimane dalla caduta del Muro, lo storico evento, la vittoria del capitalismo sul paradiso rosso. Tra Ddr e Repubblica Federale vinse il Deutsche Mark simbolo di benessere. Lo storico e politologo americano di origine giapponese Yoshihiro Francis Fukuyama, 68 anni, scrisse La fine della storia, saggio esaltato all’istante e giustamente dimenticato. Metà degli abitanti del pianeta non sapeva neanche dove si trovasse il Muro. Stava per cominciare un’altra storia. Oggi ad appena un tedesco su 8, al 15%, piace il capitalismo, e solo uno su quattro, il 23%, guarda con ottimismo al futuro. Per i francesi, la percentuale scende al 19%, e per i giapponesi al 15%. I più ottimisti sono gli indiani (il 77 %), seguiti dai cinesi con il 69%. Il giornale di Francoforte non cita gli italiani.
Come è possibile? È il risultato del sondaggio compiuto in diversi paesi dall’agenzia Edelman, che la Frankfurter Allgemeine ha potuto pubblicare in anteprima. Ogni anno, dal Duemila, vengono interrogate 36 mila persone in 28 paesi, mezz’ora di intervista online per verificare lo stato d’animo dei cittadini. La domanda fondamentale era se si confidasse ancora nel nostro sistema economico. Non per essere scettico, ma ho qualche dubbio su come siano state poste le domande dalla Edelman, americana come Fukuyama. Il Kapitalismus non è sempre uguale in Italia o in Kansas, a Berlino o a New York, in Europa o in India e in Cina. Oggi o negli anni Cinquanta.
Lo scetticismo è cresciuto ovviamente dal 2008, l’anno della grande crisi, partita proprio dagli Stati Uniti. Una crisi finanziaria non paragonabile a quella del 1929, che fu solo economica. Anche l’Europa unita è cambiata, dalla sua fondazione quando era soprattutto un patto commerciale tra i sei paesi fondatori, e la Ue di oggi, unione finanziaria tra 28 nazioni europee, con altri principi, altri ideali.
In estrema sintesi, il capitalismo alla tedesca, risalendo al conservatore Bismarck, si basa sulla cosiddetta economia sociale di mercato: lecito guadagnare, purché gli utili vengano impiegati anche per il benessere comune. Un principio che si può far risalire a Lutero, e un pragmatismo paternalista: se il lavoratore non si deve preoccupare del posto, del futuro, della salute, renderà meglio in fabbrica e in ufficio. L’unico comandamento della McKinsey, che ha fatto scuola, è basato sul massimo profitto. Che porta a disastri. Basterebbe ricordare i guai della Volkswagen.
È probabile che è questa forma di capitalismo a non piacere e inquietare in Germania: appena il 12% dei tedeschi crede ancora che il sistema sia loro utile e che l’economia in sviluppo migliori anche la loro situazione personale. Al contrario, il 55% ritiene che il Kapitalismus sia più un danno che un bene. «È un risultato pericoloso», si allarma Christiane Schulz della Edelman Deutschland. «Negli anni trascorsi, le persone interrogate», ha continuato Frau Christiane, «erano alla ricerca di risposte ai grandi problemi del nostro tempo, dal clima alla stabilità economica, e ora constatano che le imprese, le grandi società internazionali, non danno risposte soddisfacenti. Non certamente dai signori riuniti come ogni gennaio a Davos».
Secondo il sondaggio, al primo posto i tedeschi hanno ancora fiducia nei media, nonostante giornali e tv abbiano perduto diversi punti dopo la censura durata cinque giorni sulle violenze da parte di 2 mila giovani arabi ubriachi su circa 900 donne, la notte di Capodanno del 2015 a Colonia. Al secondo posto viene il sistema economico, prima della politica. Per il 75%, il capoufficio o il direttore dell’impresa è ancora la persona di riferimento, tre punti in più rispetto all’anno scorso. Non si crede al sistema, ma al rapporto umano con il capo, altra tradizionale virtù tedesca, nel bene e nel male.