la Repubblica, 23 gennaio 2020
Un italiano su tre ladro di libri
Che strano paese quello in cui si legge poco e i pochi libri letti sono per un quarto rubati. I ladri di libri – tantissimi, troppi, un italiano su tre dai 15 anni in su – non coprono il volto con la calzamaglia ma indossano il rassicurante gessato di professionisti abbienti come commercialisti, avvocati, architetti, notai che ogni giorno scaricano furtivamente testi specialisti da siti illegali o da amici compiacenti (il 61 per cento della categoria). Oppure hanno le facce intelligenti dei nostri figli universitari propensi a studiare su pagine fotocopiate o rilegate da copisterie fuorilegge piuttosto che su testi regolarmente acquistati in libreria (l’88 per cento). I pirati di libri sono ovunque, anche tra quei lettori onnivori costantemente in cerca di novità, di romanzi e saggi ora messi a disposizione dai nuovi imprenditori del crimine colto, un mercato florido sul quale è difficile indagare perché è complicato trovare le prove nelle pieghe nascoste del digitale. L’editore di Elena Ferrante, Sandro Ferri, ha già pronta una denuncia per circa ventimila copie false dell’ultimo titolo della scrittrice «che circolano sulle bancarelle e su Marketplace, l’e-commerce su Amazon dove vendono i privati». E mentre crescono a dismisura le librerie clandestine – online e fisiche, server e piccole tipografie – l’industria del libro subisce ogni anno un furto di 528 milioni di euro, un quarto del suo fatturato complessivo.
Impressionanti sono le cifre di questa nuova attività corsara, con quasi trecentomila atti di pirateria quotidiana (ossia trecentomila copie di libri, di e-book e di audiolibri sottratte al mercato legale). Tanti proiettili puntati contro un sistema già fragile, perché ogni libro rubato comporta un editore che traballa, un redattore a rischio di licenziamento, una libreria che chiude. La traduzione della gigantesca ruberia in termini di occupazione indica 3.600 persone in meno solo nella filiera del libro, e il sacrificio di 8.800 posti di lavoro tenendo conto anche dell’indotto. Bene ha fatto l’Associazione degli Editori a chiedere a Nando Pagnoncelli dell’Ipsos una puntuale mappatura del fenomeno, presentata ieri mattina al Ministero dei Beni Culturali dal presidente dell’Aie Ricky Levi affiancato dal presidente della Fieg Andrea Riffeser Monti. Ai ladri di libri si aggiungono infatti i pirati dei quotidiani, nelle scorribande attraverso piattaforme social, applicazioni telefoniche o di messaggistica: solo su Telegram, la piattaforma online fondata dal russo Pavel Durov, la stima del danno inflitto ai giornali è di circa 400 mila euro al giorno, 144 milioni all’anno. I numeri vengono dati dal presidente della Fieg: «Diminuiscono le copie dei quotidiani acquistate ogni giorno (meno 58 per cento dal 2007 al 2019), ma il calo dei lettori è molto meno accentuato (meno 24 per cento) ». Questo significa che diminuiscono gli acquirenti e aumentano i lettori di giornali prestati, trovati nelle rassegne online o cercati in altro modo (dati Audipress 2015-2019). E valgono per i giornali le considerazioni fatte per i libri: dietro ogni copia rubata ci sono testate in crisi, organici ridotti e la strage delle edicole.
In gioco non è solo la tenuta dell’industria culturale – che pure è il nostro giacimento petrolifero — ma la qualità stessa della democrazia. L’ha detto con efficacia il sottosegretario con delega all’Editoria Andrea Martella, che spoglia i bucanieri contemporanei dell’aura mitica di cui godevano i personaggi di Salgari. «Oggi non si ruba per dare ai poveri, ma per arricchire piattaforme online fuori dalle regole. E, forse senza saperlo, si infligge un duro colpo alla democrazia». Un atto mosso da un sentimento illusorio di libertà, dice Martella, che però rende tutti meno liberi. L’elemento che colpisce è proprio l’inconsapevolezza, lo scarso peso che i ladri in doppiopetto attribuiscono al reato: se rubare una caciotta non sta bene, appare incolpevole mettersi in tasca senza pagare un libro. Il 39 per cento dei professionisti, forse i più censurabili dei corsari colti, non ha avuto vergogna di ammetterlo con i sondaggisti di Pagnoncelli: sì, certo, è un reato, ma in fondo non è così grave.
Il nodo culturale del problema è quello più difficile da sciogliere. Ci si illude di contrastare il fenomeno solo con organi di garanzia o di repressione – pure fondamentali come AgCom e Guardia di Finanza – ma occorre intervenire sulla geografia dei cervelli. «Ogni anno intercettiamo cinquantamila testi prodotti da copisterie e server senza scrupoli, ma la sola repressione non può essere risolutiva», racconta il generale Renzo Nisi, comandante del Nucleo Speciale Beni e Servizi. «Quello della pirateria è un mondo pulviscolare con un’infinità di atti singoli che è difficile tenere sotto controllo». La soluzione suggerita dal militare è di carattere sanzionatorio. «Una multa al trasgressore di soli 150 euro non basta a modificare la percezione del reato». Per favorire un cambiamento culturale, il sottosegretario Martella pensa a una campagna su social e tv. E non esclude l’introduzione di sgravi fiscali sull’acquisto di libri e quotidiani, soluzione certo più efficace. L’editoria corsara è figlia di un’Italia insofferente alle regole, un paese in questo senso irredimibile. Due episodi. Alla cronista che sul taccuino annota il nome del sito più frequentato dai ladri di libri il monito del generale Nisi: «Non vorrà procurargli nuovi clienti?». E poi la testimonianza di Innocenzo Cipolletta, neo presidente di Confindustria Cultura. «Una volta in Tv stigmatizzai gli evasori fiscali che per sottrarsi all’Imu intestano ai figli le seconde case. Poi mi fu riferita una conversazione tra due tassati malmostosi: ma sai che facciamo? L’ha spiegato bene Cipolletta l’altra sera…». La strada s’annuncia lunga.