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 2020  gennaio 22 Mercoledì calendario

Sempre più uomini si ammalano di anoressia

Correva, Sebastiano Ruzza. Correva tutti i giorni, anche per tre o quattro ore. Non si fermava. Al diavolo il fiato, al diavolo i dolori. Le gambe erano così sottili, le caviglie due spaghi appena pronunciati. Un ginocchio era partito, ma a lui non importava: doveva correre, perdere più peso possibile e il prima possibile. Dimagrire è stata la sua ossessione disperata per sette anni. Si pesava quaranta o cinquanta volte al giorno. Su quella bilancia i suoi muscoli striminziti fremevano in attesa dei numeri, in attesa dell’esito. I grammi scendevano ogni volta, precipitavano, i chili si scioglievano come il burro sul fondo della padella. Mangiava una zucchina cotta, un paio di cucchiai di fiocchi di latte e non beveva più. «L’acqua era un incubo. Se bevevo prima di pesarmi il mio peso aumentava. Invece doveva calare», racconta oggi che ha 30 anni, è guarito, ha scritto un libro sulla sua storia e si è laureato proprio in Disturbi alimentari. Ne aveva sedici quando la malattia, l’anoressia, è arrivata al punto più basso. Quando l’unica soluzione è diventata il ricovero. Presto, bisogna far presto, perché il ragazzo non mangia più, non si regge in piedi. La sua è la storia di uomo, un ragazzo che ha sofferto di anoressia. Una patologia che si fa presto a collegare al mondo femminile. Alle ragazze che guardano agli stereotipi di bellezza e perdono chili per entrare nei jeans sempre più aderenti. Mentre il sesso maschile viene dimenticato. Ma gli anoressici sono in aumento. «Quando mi hanno ricoverato in clinica ho scoperto quanto noi ragazzi non fossimo considerati sotto il punto di vista dei disturbi alimentari. Le brochure, le note informative, tutto era declinato al femminile. Si praticavano soltanto tipi di attività di supporto pensate per le ragazze. Come ad esempio il cucito», racconta. E quante volte gli è capitato che gli chiedessero se fosse omosessuale, se il suo disturbo fosse da collegarsi a quella sfera. «Addirittura a Torino si rifiutarono di ricoverarmi. C’erano altre urgenze, femminili, che venivano sempre prima di me», spiega. «Minimizzavano. “Basta mangiare, mangia, quanto ci vuole”, mi sono sentito dire diverse volte”. 

DIAGNOSI TARDIVE
Il caso di Sebastiano è tutto fuorché raro. Un uomo ogni quattro donne, sui tre milioni complessivi in Italia, è anoressico. Gli uomini che soffrono di disturbi dell’alimentazione vivono una condizione di disagio anche maggiore rispetto alle pazienti e ricevono diagnosi più tardive. Con il risultato che, proprio a causa dei pregiudizi, i maschi si vergognano di farsi curare e i medici riconoscono e diagnosticano con più difficoltà il disturbo in questione. Gli specialisti dell’Associazione medici endocrinologi (Ame) sottolineano come «a sottovalutare il problema siano gli stessi medici, proprio a causa di un pregiudizio diagnostico di genere”. L’età in cui si presenta la malattia così come per le ragazze è intorno ai 14-15 anni. «Negli ultimi anni – riferiscono gli esperti, – sono stati registrati casi anche a partire dai nove anni». «Oggi ho capito perché mi sono ammalato», va avanti a raccontare Sebastiano. «Era un modo di comunicare. Da piccolo sono sempre stato bullizzato, alle scuole medie mi escludevano. Mi sentivo relegato ai margini». Per questi giovanissimi non esistono ancora centri o percorsi dedicati poiché l’anoressia è sempre stata considerata una “malattia da femmine”. «L’anoressia degli uomini ha manifestazioni in parte simili a quelle dell’ambito femminile ma spesso l’ossessione per la forma fisica può esprimersi attraverso una attività sportiva compulsiva, oltre ad un comportamento alimentare dannoso», spiega Simonetta Marucci, endocrinologa esperta dei disturbi del comportamento alimentare. 

PERDERE PESO
Come Sebastiano, che sceglieva le ore più calde per correre. Sotto il sole, alle 13, in agosto, il suo corpo sudava e perdeva incredibilmente peso. A volte si avvolgeva nel cellophane o si imbottiva di vestiti e maglioni nonostante i quasi 40 gradi. Si era chiuso in un mutismo che non voleva sentire ragioni. Pensava solo a come perdere altro peso, a quale trama escogitare per buttare giù altri chili, per diventare ancora più magro, ancora più invisibile. «Invisibile, ma in un certo senso più visibile, perché perdere peso era un mio modo di comunicare. Non che lo facessi di proposito sia chiaro. Ero malato».