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 2020  gennaio 22 Mercoledì calendario

Sei astronaute per un posto sulla Luna

Sarà quello di una donna il prossimo piede a calpestare la superficie lunare. Garantisce la Nasa, che venerdì scorso ha presentato al Johnson Space Center di Houston le 13 nuove reclute, sei donne e sette uomini, che, selezionati tra 18 mila candidati, hanno completato i due anni di formazione e si aggiungeranno ai 37 astronauti dell’agenzia per le future missioni.
Prima tappa, a 400 km sopra le nostre teste, sarà la Stazione Spaziale Internazionale e, quindi, la Luna, entro il 2024, come già annunciato con «Artemis» (Artemide, Diana per i romani, era la dea greca della Luna): il programma ribadisce l’importanza del nostro satellite nell’ottica dell’esplorazione profonda di Marte, la cui postazione di partenza potrebbe essere una base orbitante intorno alla Luna, il «Lunar gateway». È il sogno di ogni astronauta, quello di toccare il Pianeta Rosso, dopo un viaggio di almeno sei mesi, che la Nasa stima accadrà prima della fine degli Anni Trenta. Forse toccherà proprio a uno dei cadetti. 
Le neoastronaute sono Kayla Barron, ingegnere dei sistemi e nucleare e ufficiale sommergibilista della Marina; Zena Cardman, biologa e scienziata marina, con alle spalle spedizioni in Antatide e simulazioni su «analog» di Marte; Jasmin Moghbeli, ingegnere aerospaziale e maggiore dei Marines; Loral O’Hara, ingegnere aerospaziale, ricercatrice al lavoro con robot alla Woods Hole Oceanographic Institution; e Jessica Watkins, geologa e scienziata ambientale, collaboratrice della Nasa come post-doc del Caltech e specialista della sonda «Curiosity». I colleghi maschi sono Raja Chari, colonnello dell’US Air Force; Matthew Dominick comandante luogotenente dell’U.S. Navy; Bob Hines, colonnello luogotenente della US Air Force; Warren Hoburg, ingegnere e pilota; Jonny Kim, delle forze speciali Navy Seals e poi medico del Massachusetts General Hospital di Boston; e Francisco Rubio, colonnello dell’US Army, poi chirurgo nelle forze speciali. Con loro le due reclute della Canadian Space Agency: Jennifer Sidey-Gibbons, ricercatrice ed esperta di microgravità, e Joshua Kutryk dell’Air Force.
La parità tra i sessi già si era verificata nelle selezioni della Nasa, per la prima volta, nella tornata del 2013. Ce n’è voluto di tempo, ma forse è la volta buona per porre fine alla sistematica esclusione della metà del mondo dall’impresa spaziale. La prima donna che nel 2007 diventò comandante della Stazione Spaziale, la statunitense Peggy Whitson, è stata anche l’ultima a occupare quel ruolo.
«Gli astronauti sono sempre stati figure iper-selezionate, dotate di riflessi, abilità e competenze ma anche di tratti psicologici specifici come equilibrio e determinazione», ripercorre la storia Roberto Battiston, fisico dell’Università di Trento e già presidente dell’Asi. «Riflettendo una certa situazione sociale, campioni con queste caratteristiche venivano un tempo reclutati nel mondo militare. Il reclutamento si è poi allargato al mondo civile e della ricerca». E così - continua - «è cambiato il reclutamento della Nasa e oggi ci sono ottime candidature femminili tra cui scegliere, pari per capacità e per competenze alle candidature maschili di un tempo». Ma, oltre alla parità numerica dei cadetti, c’è qualcosa di più: «Un messaggio politico, come la decisione che il prossimo astronauta a calpestare la Luna sarà donna», conclude Battiston, che si augura che le selezioni statunitensi siano di esempio per l’Europa.
Tutto femminile, intanto, è l’equipaggio di sette persone della missione di simulazione marziana «Hi-Seas Sensoria» alle Hawaii: oltre agli esperimenti, al cuore dell’impresa anche le dinamiche psicologiche e sociali. Saranno decisive negli habitat estremi di Marte.