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 2020  gennaio 22 Mercoledì calendario

I 90 anni di Arbasino

Alberto Arbasino (che in famiglia chiamano Nino) compie oggi novant’anni, ma è assolutamente inadatto al ruolo di vegliardo essendo stato per una vita intera piuttosto enfant terrible , come del resto Angelo Guglielmi, che i novanta li ha compiuti l’anno scorso ed è, per Arbasino, un compagno di strada di lunghissimo corso, a partire almeno dalla comune militanza nel Gruppo 63. Un gruppo di guastatori, anche se, alla fine, ciascuno a suo modo. Rivedo, film della memoria, Arbasino sul palco del Teatro Olimpico di Roma, accanto a un pianoforte. Batte il tempo col piede e recita i versi di Matinée che comprende anche la celebre canzone scritta per Laura Betti «Ossigenarsi a Taranto/ è stato il primo errore….».

In platea c’è anche Giorgio Napolitano, non ancora presidente della Repubblica. È una delle rare volte in cui Arbasino non è in platea. In effetti nelle moltissime pagine che ha dedicato al teatro e alla musica ha sempre scelto il ruolo delle spettatore eccellente. Non del critico, si badi. Ancora molto giovane, ospite del Collegio Cairoli di Pavia, scappava la sera per andare in treno a Milano, magari alla Scala, e rientrava nottetempo con l’aiuto di Elvio Fachinelli, che gli faceva trovare una scaletta per entrare dalla finestra.
Sul teatro, sulla musica, sull’arte Arbasino ha accumulato un patrimonio di conoscenze, ma soprattutto di esperienze dal vivo che gli hanno permesso di scrivere pagine assolutamente originali. Nel senso che Arbasino è inconfondibile e pronto a riscrivere tutto ciò che ha già scritto per renderlo più vivo e nuovo. L’impresa di Fratelli d’Italia , il romanzo uscito nel ’63 e poi riscritto fino agli anni Novanta, fa rumore e non mancano le polemiche, anche aspre. Guglielmi in una sua nota critica scrive che tutti i personaggi di Fratelli d’Italia sono in realtà un unico personaggio. Era nato un modo diverso di proporre il romanzo e anche un modo nuovo di leggerlo. In un’altra occasione, avevo proposto che i Fratelli si potessero consumare a brani o letteralmente “sbranare”. Quella stagione oggi ci appare molto lontana, ma Arbasino ha sempre tenuto banco, ogni volta che accadeva di riparlare dei suoi scritti. Quando nel 2009 Raffaele Manica confezionò i due volumi dei Meridiani dedicati alla sua opera, l’autore volle partecipare in modo molto attivo e, tra le altre cose, firmò una personalissima cronologia della sua vita e delle opere, che è una nuova scrittura di ciò che aveva vissuto e scritto fin lì. Una specie di storia personale, con annessa ricerca del tempo perduto e rivisitazione dei luoghi celebri: “gita a Chiasso”, “Casalinga di Voghera” e naturalmente (ma i titoli sono altrettante esche)
Parigi o cara , Grazie per le magnifiche rose , Un paese senza , Fantasmi italiani . La vita culturale trabocca dagli scritti innumerevoli di Arbasino, tra l’altro anche gran viaggiatore. Una volta va in India e scopre in un museo un quadro di Dosso che si pensava perduto. Non rinunciava mai ai musei e ai teatri. Eravamo con un gruppo di scrittori insieme a Buenos Aires, ma invece di venire a cena Alberto volle comunque andare al vicino Teatro Colón per vedere cosa davano. Tornò dopo neanche un’ora: non valeva la pena e si mise presto in pari con la cena.
Il cinema lo interessava meno, anche se ha persino fatto un particina nella Bella di Lodi che tanti anni fa Mario Missiroli trasse da un suo romanzo. Ma poi la bella era in realtà un bello, come qualcuno spettegolava?
Arbasino non è un vegliardo, ma nel tempo ha contribuito ad avvicinare a un nuovo pubblico i vegliardi d’una volta. La sua devozione per Gadda è arcinota e condivisa dalla neoavanguardia: anche Guglielmi scrisse presto un saggio su Gadda e Gadda stesso, ai tavolini del caffè Ruschena, gli dettò quel che serviva per una breve biografia. E Arbasino e Praz? Come non ricordare le passeggiate con l’anglista che perdeva la chiave di casa nella fodera del cappotto (aveva una tasca bucata) e si lasciava perquisire per ritrovarla? E Longhi? E Palazzeschi?
I ricordi di Alberto sono infiniti e naturalmente non si limitano all’Italia. Ho riletto qualche tempo fa un suo incontro con Simenon a Parigi, avvenuto in anni ormai lontani: a ripercorrere i suoi libri, le sue gallerie di ritratti accumulati nel tempo, c’è un motivo di sorpresa e — perché no? — di conforto.
Come sanno i lettori di questo giornale, Arbasino ha scritto molto per Repubblica . Prima era stato una firma del Giorno e poi del Corriere , ma aRepubblica era approdato subito, quando Scalfari l’aveva invitato a collaborare e infatti c’è la sua firma sulla prima pagina culturale uscita il 14 gennaio del 1976. Lo scritto di Alberto è di spalla ed è un’intervista a Bernardo Bertolucci di cui sta per uscire nelle sale Novecento . Siamo a due anni dal rapimento di Moro e dalla sua uccisione. Arbasino farà poi una sua cronaca di quegli eventi, raccolta nel volume In questo Stato . Le lettere di Moro gli sembrano meno dignitose di quelle di Maria Antonietta prossima al patibolo. Se c’è una cosa dalla quale Arbasino rifugge è proprio il luogo comune.
Preferisce spiazzare il lettore e offrirgli una chiave decisamente “altra”. Oggi, usando una categoria da lui stesso diffusa, molti diranno che Arbasino è approdato al titolo di “venerato maestro”, ma io preferisco pensarlo ancora come un autore giovane nella sostanza e nello stile, anche se non più negli anni. Auguri, Alberto!