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 2020  gennaio 22 Mercoledì calendario

Intervista a Carlos Ghosn

BEIRUT – Mentre a Davos monta la sfida fra il presidente americano Donald Trump e Greta Thunberg, l’uomo di Davos sorseggia tè in uno degli alberghi più famosi di Beirut. All’appuntamento con Repubblica per la prima intervista a una testata italiana da quando 14 mesi fa è stato arrestato in Giappone, Carlos Ghosn arriva puntuale. Il fare è quello dell’amministratore delegato impegnato: salvo che Ghosn, “l’uomo di Davos” come per anni è stato chiamato, non guida più Nissan-Renault, uno dei più importanti gruppi automobilistici del mondo, ma il team di avvocati che lo difende dalle accuse di frode e appropriazione indebita. Da quando è scappato da Tokyo, il 29 dicembre, Ghosn, 65 anni, vive in Libano, Paese di cui è originario. Guardia del corpo e camicia azzurra senza cravatta, trasmette sicurezza ma anche rabbia: la voce si altera ogni volta che parla dei procuratori giapponesi o di Nissan.
Le manca Davos? Per anni è stato uno dei protagonisti…
«C’è un inizio e una fine per tutto. Sono una persona realistica e sapevo che la vita che ho fatto non sarebbe durata per sempre. Di certo non pensavo che sarebbe finita così: ma ci sono fasi in cui devi voltare pagina».
Però passare da essere uno dei più importanti manager a fuggitivo non è semplice: come la vive?
«Per ora ho molto da fare con avvocati e giornalisti. Ma qui ho famiglia e amici: non vedo l’ora di iniziare a vivere davvero a Beirut».
Ha detto di voler rispondere ai giudici delle accuse che le sono state mosse: perché ha scelto il Libano, dove il sistema giudiziario non gode di ottima fama?
«Dovevo scegliere fra i Paesi di cui sono cittadino: Libano, Francia e Brasile. Cercavo un Paese dove l’imputato avesse diritto a una difesa, al contrario di ciò che accade in Giappone, dove sono stato arrestato, tenuto in isolamento, interrogato per giorni senza avvocati e privato del diritto di vedere la famiglia con l’unico scopo di farmi confessare crimini che non ho commesso».
Perché non la Francia, allora?
«Ma mia moglie era qui: per 9 mesi mi avevano proibito di vederla e sono venuto qui».
Ci racconta della fuga? Quando ha deciso di scappare?
«A dicembre, quando mi hanno detto che dopo 14 mesi non c’era ancora una data per il processo. Ho capito che rischiavo di restare in Giappone a vita, ostaggio di un sistema giudiziario che ha il 99,4% di condanne: lei non sarebbe fuggita?».
È arrivato a Beirut il 30 dicembre. Poco tempo per elaborare un piano di fuga complesso come quello di cui i giornali hanno scritto: due jet privati, una scatola da apparecchiature musicali in cui si sarebbe nascosto…
«È stato un piano azzardato. Ma dovevo agire in fretta, perché se ci avessimo messo mesi sarebbero aumentate la possibilità di fuga di notizie».
Sa che in Giappone è partita una sfida? Le persone si fanno fotografare nascoste in custodie di strumenti musicali. 
(Ghosn ride) «È una cosa pericolosa suppongo: ma non spetta a me dirlo. La mia fuga è diventata una storia popolare: hanno anche creato un videogioco».
Il Giappone è stato la sua casa per 17 anni: i giapponesi si sentono insultati dalla sua fuga.
«I procuratori giapponesi, parte della dirigenza della Nissan e del governo hanno complottato contro di me. Mi hanno fatto un’imboscata, mi hanno colto di sorpresa. Con la fuga li ho colti di sorpresa io: non ho attaccato, ho contrattaccato».
Lei è stato a lungo un idolo nel Paese. Che spiegazione si è dato per questa caduta?
«Quando il mio mandato è stato rinnovato, all’ inizio del 2018, alcuni colleghi giapponesi hanno avuto paura che tramite me lo Stato francese volesse prendere il controllo di Nissan. Hanno pensato che volessi una fusione, mentre io lavoravo per rendere l’alleanza irreversibile, ma senza fusione».
Rimpianti?
«Molti. Fra gli altri, quello di aver dato fiducia alle persone sbagliate. E di non aver accettato l’offerta dell’amministrazione Obama di guidare General Motors».
A Le Figaro ha detto che anche Fiat le aveva fatto un’offerta, prima di chiamare Sergio Marchionne come amministratore delegato.
«Mi arrivò una telefonata. Ma avevo appena iniziato il rilancio di Nissan ed era impossibile lasciare».
Parlando di Fca: la fusione con Renault era il suo grande progetto. Chi ha lavorato per fermarla?
«A questo non so risponderle. Ero in carcere. Ma so che era una grande opportunità e che eravamo a buon punto: era un accordo imperdibile.
Ma chi mi ha sostituito è riuscito a farselo sfuggire».
Qual è oggi lo stato dell’alleanza fra Nissan e Renault?
«Non è un mio problema. Ma non penso che i gruppi debbano vivere per sempre, hanno un inizio e una fine, come gli esseri umani. Lasciamo parlare i numeri».
I numeri non sono buoni: calo nelle vendite e perdita di capitalizzazione in Borsa
«Eppure qualcuno pensava che sbarazzarsi di me sarebbe stato semplice…».
Qual è il futuro di Carlos Ghosn?
«Difendermi dalle accuse e ricostruire la mia reputazione».