la Repubblica, 22 gennaio 2020
Chi uccise il piccolo Grégory?
Chi ha ucciso il piccolo Grégory? È l’ossessione che la Francia insegue da più trent’anni. Da quando il piccolo Grégory Villemin scomparve in un pomeriggio d’autunno del 1984 mentre giocava nel giardino dello chalet dove abitava, per essere ritrovato morto, interamente vestito, con le mani e i piedi legati, in un canale del Vologne, fiume nella regione dei Vosgi. La foto del ritrovamento del bambino di quattro anni, in braccio a un pompiere, ha segnato l’immaginario di una generazione.
Sull’affaire Grégory si è scatenata un’attenzione paragonabile a quella in Italia per il delitto di Cogne, solo che nel caso francese non c’è mai stata una condanna definitiva e si continua ancora a cercare il “corvo” che minacciava i genitori del piccolo Grégory e ha telefonato per dare indicazioni per il ritrovamento del cadavere. È una storia che attraversa faide famigliari e di paese e che continua a provocare drammi. Dopo che uno dei sospettati è stato ucciso nell’85 dal padre di Grégory, nel 2017 il pm dell’inchiesta, Jean-Michel Lambert, già al centro di molte polemiche, si è suicidato.
L’eco internazionale dell’affaire Grégory è arrivata con un documentario a puntate che Netflix ha appena dedicato al più famoso caso di cronaca francese dal dopoguerra. L’ultimo colpo di scena è arrivato qualche giorno fa quando la Consulta ha annullato il fermo della testimone chiave dell’inchiesta, ovvero Murielle Bolle, che nel 1984 aveva accusato dell’omicidio il cognato Bernard Laroche, cugino del padre del bambino. L’allora adolescente aveva poi cambiato versione, sostenendo di essere stata manipolata dai gendarmi che l’avevano interrogata. Intanto però il padre di Grégory, Jean-Marie, aveva deciso di vendicarsi uccidendo Laroche.
Nel tempo, i sospetti si sono spostati sulla madre di Grégory. La scrittrice Marguerite Duras, affascinata dall’eterno mistero, aveva pubblicato un articolo su Libération sulla presunta madre infanticida. Scagionata la donna, si è cominciato a indagare su altri membri della famiglia, senza che si sia mai arrivati a una sentenza definitiva. Anzi è lo Stato ad aver ricevuto una condanna per risarcire la vedova di Laroche e altre percorse coinvolte.
È tuttora in corso una nuova indagine della procura di Digione, aperta nel 2017 con l’ordine di nuovi prelievi del Dna. In questa fase, i magistrati hanno puntato su un prozio di Grégory. L’ennesima pista che sembra destinata a finire, come le altre, in un’impasse. La decisione della Consulta di questi giorni in realtà non cambia molto, perché le dichiarazioni di Bolle restano agli atti. E dunque la ricerca di quello che è avvenuto in quell’autunno di 36 anni fa prosegue in modo ostinato e forse irragionevole. Come ha scritto sul Figaro uno dei migliori cronisti francesi di giudiziaria, Stéphane Durand- Souffland: «Nessuno può ammettere che il caso Grégory non sarà mai stato risolto. Perché la gendarmeria, la polizia, gli esperti, i magistrati, hanno perso la faccia e questa serie di fallimenti, unita all’orrore dei fatti, è insopportabile per una società che legittimamente pretende una risposta dalla giustizia». Davanti a una lunga débâcle che nessuno vuole riconoscere, si cerca di mantenere viva la speranza di trovare un giorno il “corvo” nascosto dietro alla morte del piccolo Grégory.