https://www.lettera43.it/libano-nuovo-governo-diab-hezbollah/, 21 gennaio 2020
Il Libano ha un nuovo governo con un premier vicino a Hezbollah
Il nuovo governo libanese guidato dal premier Hassan Diab, vicino agli Hezbollah filo-iraniani e incaricato di traghettare il Paese attraverso la più grave crisi economica e politica dalla fine della guerra civile, è nato il 21 gennaio dopo poco più di un mese di intense consultazioni e dopo giorni di violenti scontri a Beirut tra manifestanti anti-governativi e forze di sicurezza.
LEGGI ANCHE: Perché la politica in Libano è ostaggio dei soliti clan
DIAB AVEVA RICEVUTO L’INCARICO IL 19 DICEMBRE
«Il nuovo esecutivo lavorerà per soddisfare le richieste dei dimostranti», ha subito promesso il premier, ma la piazza sembra già pronta a riesplodere contro un governo ritenuto ancora troppo legato all’establishment. Diab, 60 anni, aveva ricevuto l’incarico di formare un nuovo esecutivo il 19 dicembre. Un mese e mezzo prima si era dimesso il suo predecessore, Saad Hariri, in seguito a forti pressioni popolari nel quadro delle proteste contro il carovita e la corruzione scoppiate in varie città del Paese a metà ottobre.
UN ESECUTIVO RISTRETTO (CON SEI DONNE)
Il governo Diab è più piccolo dei precedenti, con ministri ridotti di un terzo. Si tratta in tutto di 20 persone, che in passato non hanno assunto incarichi ministeriali. Sei le donne tra cui, per la prima volta, la nuova ministra della Difesa Zeina Acar. Ma molti analisti osservano che dietro le nomine ci sono gli stessi movimenti politici al potere da decenni, messi sotto accusa dal movimento di protesta.
LA ROTTURA DI UN EQUILIBRIO CHE DURAVA DA DIECI ANNI
La scelta di Hariri di dimettersi e, soprattutto, di non voler ricandidarsi, aveva di fatto rotto l’accordo politico-istituzionale raggiunto un anno fa tra il fronte filo-iraniano, incarnato dall’alleanza tra gli Hezbollah e il presidente della Repubblica cristiano Michel Aoun, e l’asse filo-occidentale, rappresentato dallo stesso Hariri e dai partiti cristiani delle Forze libanesi, delle Falangi e dal partito druso di Walid Jumblat. Proprio questi ultimi partiti, storicamente più vicini agli Stati Uniti, alla Francia e all’Arabia Saudita, sono fuori dal nuovo esecutivo, segnando una rottura negli equilibri di consenso che reggono da circa dieci anni in Libano.
LA SFIDA DELLE RIFORME ECONOMICHE
Il nuovo premier, ex ministro dell’Istruzione, ricordato per aver innalzato le tasse universitarie del 300%, ha ora la missione pressoché impossibile di riguadagnare la fiducia della piazza in rivolta, operando al tempo stesso le tanto attese riforme economiche indicate come necessarie per sbloccare gli aiuti finanziari promessi dalla comunità internazionale, in particolare dalla Francia, dagli Stati Uniti e dall’Unione europea. I fondi stranieri dovrebbero far rifiatare l’economia e, soprattutto, il sistema bancario, in forte difficoltà da quando in estate è cominciata in tutta la regione un’improvvisa crisi di liquidità del dollaro statunitense con la svalutazione della lira locale. Le banche hanno da metà novembre imposto il controllo dei capitali e i piccoli e medi risparmiatori ne stanno pagando le conseguenze, in un quadro sempre più difficile di aumento della disoccupazione e impennata dei prezzi dei beni al consumo. È in questo contesto che negli ultimi giorni, per la prima volta, si sono registrati a Beirut ripetuti e violenti scontri tra manifestanti e polizia, col ferimento di centinaia di dimostranti e decine di agenti.