https://www.lettera43.it/opere-wagner-nazismo-omer-meir-wellber-fascismo/, 21 gennaio 2020
Perché bollare Wagner come fascista è solo una sciocchezza
Beethoven ha la partenza lenta. Questo è il suo anno – 250 dalla nascita – ma almeno per ora la routine concertistica la fa da padrona, non certo scalfita dalle stucchevoli sortite giornalistiche di inizio gennaio, che i due maggiori quotidiani hanno di comune accordo relegato nei magazine.
Così, l’evento della scena musicale italiana – in questo scorcio dell’inverno 2020 – è la singolare fiammata wagneriana della programmazione operistica.
Due nuovi allestimenti debutteranno a distanza di due giorni uno dall’altro (il 24 e il 26 gennaio): Tristan und Isolde a Bologna, Parsifal a Palermo. Fuori dall’immensa mitologia del Ring, altezze vertiginose e indiscutibili, almeno musicalmente. Non male, per il Paese del melodramma, storica culla dell’opera, nel quale le uscite dal ristretto pantheon dei numi Rossini-Bellini-Donizetti-Verdi-Puccini (a diverso livello padri della patria) sembrano sempre un po’ casuali, quasi involontarie.
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È un caso anche questa congiunzione wagneriana, naturalmente. Anche perché, per quanto si spulcino gli annuari, non si trova traccia di possibili anniversari legati a questi due drammi musicali. E si sa che gli anniversari, nell’eclisse della conoscenza, creatività e della fantasia, sono sempre più spesso la linea guida delle attività culturali in Italia.
BOLOGNA CAPITALE ITALIANA DEL WAGNERISMO
Le circostanze di queste due proposte sono peraltro assai differenti. Premesso che il rapporto di Wagner con l’Italia fu frequente, intenso e talvolta decisivo e che Venezia, da questo punto di vista, può addirittura osare definirsi una seconda patria del compositore (che vi soggiornò a più riprese e vi morì nel 1883), Bologna può vantare senza tema di smentite il titolo di capitale italiana del wagnerismo. Fu il suo teatro lirico, infatti, a tenere a battesimo in Italia numerose opere del musicista tedesco, dal Lohengrin al Tannhäuser, dal Tristan, appunto, che vi fu rappresentato nel 1888 (23 anni dopo la prima assoluta, direttore il compositore Giuseppe Martucci) per arrivare all’inizio del 1914, quando vi fu finalmente rappresentato anche Parsifal, a distanza di 32 anni dal suo debutto assoluto.
OMER MEIR WELLBER E LA SFIDA PALERMITANA
Il Comunale di Bologna, dunque, assolve a un dovere in qualche modo “storico”, prosegue una vocazione che del resto non ha mai davvero lasciato cadere. Diverso è il discorso per Palermo: qui la scelta del “dramma sacro” di Wagner per aprire la stagione del Teatro Massimo (Fondazione lirica in deciso rilancio) ha insieme il sapore di un recupero dopo 65 anni – l’ultima rappresentazione risale al 1955 – e di una sfida. Così ha sostenuto in un’ampia intervista pubblicata su La Repubblica il 18 gennaio il direttore d’orchestra israeliano Omer Meir Wellber, non ancora 40enne, che inaugura così anche la sua esperienza di direttore musicale della scena operistica palermitana.
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E tanto per illuminare meglio una delle questioni più calde intorno non solo a quest’opera, ma a tutta la produzione di Wagner, a precisa e non eludibile domanda («Non è difficile il rapporto di un israeliano con Wagner?») Wellber ha risposto testualmente: «Lo è per qualsiasi antifascista, dato che Wagner fu in favore del fascismo, come testimoniano i suoi scritti filosofici, inesistenti dal punto di vista del pensiero politico e vuoti nei contenuti. Ma io mi concentro solo sulla qualità straordinaria del Wagner compositore».
LA VERITÀ È CHE WAGNER FU UN VIRULENTO ANTI-SEMITA
La sciocchezza (anzi, la serie di sciocchezze, esclusa l’ultima frase naturalmente) avrebbe meritato quanto meno una puntualizzazione o una contestazione di merito da parte dell’intervistatrice. Ma questo è un altro discorso, che riguarda le condizioni del giornalismo in questo Paese. Restando a Wellber, il direttore d’orchestra avrebbe potuto, ma non l’ha fatto, ribadire una verità documentalmente e storicamente accertata, e cioè che Richard Wagner fu un virulento antisemita, un vero e proprio “odiatore” degli ebrei come dimostrano chiaramente non solo il suo vergognoso pamphlet Il giudaismo in musica, pubblicato nel 1850, ma numerosi altri suoi testi di poetica ed estetica musicale.
Che si debba considerare Wagner «favorevole al fascismo» perché Hitler lo idolatrava è tesi datata, oltre che un anacoluto storico
Invece ha preferito parlare di un suo fantomatico «favore per il fascismo», anche se si parla di un artista morto nel 1883, cioè 40 anni prima dell’apparizione dei movimenti totalitari di destra in Italia e in Germania. Avrebbe potuto spiegare se e in che misura considera Parsifal un’opera nella quale Wagner trasferisce il suo antisemitismo sul piano musicale, controverso argomento di discussione e di contrasto fra gli specialisti da molto tempo. Con più equilibrio e in maniera molto più condivisibile avrebbe potuto esprimere il suo dissenso e il suo disgusto per l’incondizionato appoggio fin dalla prima ora (anno 1923) accordato dai discendenti di Wagner a Hitler, al nazismo e all’antisemitismo.
Winifred Wagner, nuora del compositore tedesco, con suo figlio Wieland (a destra) e Hitler nel giardino di Wahnfried, la casa Wagner a Bayreuth, nel 1938 (Getty Images).
LA FOLGORAZIONE DI HITLER PER IL TRISTAN DIRETTO DA MAHLER
In Israele, la musica di Wagner resta un argomento molto sensibile, anzi critico. E questo nonostante le più recenti ricognizioni sulle testimonianze dei sopravvissuti all’Olocausto tendano a non collegare con particolare frequenza la musica wagneriana con i campi di sterminio, segnalando come fossero molto utilizzate anche musiche “leggere” degli Strauss, arie d’operetta e molto altro. Naturalmente la sensibilità dei sopravvissuti alla Shoah dev’essere solo rispettata. Sono le vittime e i testimoni di un regime totalitario e di bestiale inumanità il cui futuro leader rimase “fulminato” all’età di 17 anni dall’ascolto del Tristan a Vienna. Era il 1906, dirigeva Gustav Mahler, un ebreo che si era cristianizzato per poter accedere alla guida del Teatro dell’Opera nella capitale dell’Impero (a proposito di antisemitismo…).
La bibliografia è sterminata, ma un punto sembra ormai acquisito: il futuro dittatore nazista fu conquistato dalla musica di Wagner e non dalle sue tesi antisemite
Ma che si debba considerare Wagner «favorevole al fascismo» perché Hitler lo idolatrava è tesi datata, oltre che un anacoluto storico. La bibliografia sul rapporto fra i due personaggi è sterminata, in Europa e negli Usa, ma un punto sembra ormai acquisito: il futuro dittatore nazista fu conquistato dalla musica di Wagner e non dalle sue tesi antisemite. E un accurato screening comparativo fra le pubblicazioni wagneriane e i discorsi di Hitler sembrerebbe dimostrare che mai quest’ultimo citò le posizioni del compositore sugli ebrei.
TRA IL DIO DI MALLARMÉ E «L’ASSOLUTA MERDA» DI AUDEN
La realtà è che 137 anni dopo la sua morte, Wagner non cessa di scatenare entusiasmo e repulsione in pari misura, oltre ogni convinzione politica, senza bisogno di pretestuosi agganci con il fascismo, il totalitarismo di destra, l’Olocausto. I poli – come ricordava ancora nel 1998 sul New Yorker il critico Alex Ross – sono «il dio Richard Wagner» di cui parlava Mallarmé e «l’assoluta merda» della definizione di W.H. Auden, successiva di qualche decennio. Wagner si ama o non si sopporta.
Il fondatore del sionismo Theodor Herzl scrisse Lo stato ebraico ascoltando ogni volta che poteva il Tannhäuser
E fra quelli che lo amano, la stragrande maggioranza è costituita da persone che nell’opera del loro compositore preferito non vedono alcun “favore per il fascismo” – perché non può esserci – e non vedono neppure antisemitismo, al di là delle interminabili controversie. Di sicuro non lo vedeva, per fare solo un esempio (anche questo citato da Ross, grande esperto del tema, sul quale a settembre pubblicherà un nuovo libro intitolato Wagnerismo), il fondatore del sionismo Theodor Herzl, che scrisse Lo stato ebraico (pubblicato nel 1896) ascoltando ogni volta che poteva il Tannhäuser. Del resto, la storia dell’interpretazione wagneriana dell’ultimo mezzo secolo vede brillare i nomi di direttori ebrei come James Levine o Daniel Barenboim, colui che in Israele ha osato sfidare la norma non scritta che ne vieta l’esecuzione in concerto (ma, curiosamente, non alla radio…). Solo le rappresentazioni palermitane di Parsifal diranno se Omer Meir Wellber può aspirare a far parte del gruppo. A prescindere dalla pregiudiziale antifascista.