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 2020  gennaio 21 Martedì calendario

Perché ci si ammala di polmonite

Gli ingredienti ci sono tutti: ondate di freddo, picco dell’influenza, aumento dello smog prolungato, riapertura delle scuole. E, perché no, anche il fatto che durante le feste natalizie abbiamo passato più tempo in luoghi chiusi e affollati e ci siamo baciati e abbracciati di più. Una manna per batteri e virus che si sono potuti diffondere con facilità. Il risultato è un aumento del numero di casi di polmonite, come testimoniano i pronto soccorso affollati delle principali città. In media in Italia si contano 2 casi ogni 1000 abitanti, ma le prime stime di questi giorni parlano di un’incidenza doppia, 4 ogni 1000 italiani, soprattutto in alcune zone. «Non si tratta però di un’epidemia – sottolinea Francesco Blasi, direttore del Dipartimento di Medicina interna e dell’Unità operativa complessa di Pneumologia del Policlinico di Milano – in questo periodo è fisiologico attendersi una crescita delle infezioni, che va di pari passo al diffondersi dell’influenza: i virus influenzali, infatti, se di rado possono trasformarsi in infezioni profonde, aprono però la strada a batteri che provocano polmonite».
Niente a che vedere, quindi, con l’allerta scattata in Cina, dove una vera epidemia di polmonite si è diffusa a Wuhan, con centinaia di infetti, primi casi anche fuori dalla Cina e meno di dieci morti accertati a opera di un coronavirus, mai identificato prima d’ora. In Italia, rassicurano gli esperti, le polmoniti che vediamo aumentare sono causate in gran parte da una vecchia conoscenza degli pneumologi, lo Streptococcus pneumoniae, un batterio che circola tutto l’anno ma che nei mesi più freddi diventa particolarmente insidioso. «Quest’anno, poi, uno dei virus influenzali, A(H3N2), ha una caratteristica antipatica: facilita la penetrazione dei batteri nelle basse via aeree», spiega Fabrizio Pregliasco, virologo, direttore sanitario dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano. La polmonite è infatti un’infiammazione della parte profonda del sistema respiratorio e colpisce in particolare gli alveoli, la parte terminale dell’albero respiratorio, che si riempiono di muco impedendo così lo scambio di gas fra l’aria che inspiriamo e il sangue. Ecco perché la polmonite può diventare anche una malattia molto grave e portare a morte: secondo l’Istat sono morte per le complicanze da polmonite quasi 11mila persone nel 2017 in Italia, quasi tutte ultrasettantenni. Lo scarso apporto di ossigeno nel sangue può provocare battiti accelerati del cuore, nausea e vomito, problemi al sistema nervoso centrale come mal di testa, scarso appetito, stato confusionale e sbalzi di umore. Ma i segni più evidenti sono l’affaticamento, dovuto alla mancanza di fiato, con la respirazione che diventa frequente e corta, e la tosse molto forte con produzione di muco. La febbre, invece, non sempre si manifesta, soprattutto negli anziani, e questo – spesso – ritarda la diagnosi.
A rischio sono soprattutto over 65 e bambini; i primi perché in generale più deboli e spesso affetti anche da malattie croniche, per esempio la broncopneumatia cronica ostruttiva o l’asma che mettono già a dura prova il sistema respiratorio, i secondi perché particolarmente esposti alla vita di comunità, dove batteri e virus si diffondo con facilità. Lo strumento più efficace per difendersi è la vaccinazione, consigliata sia in età pediatrica sia per gli anziani. Purtroppo la diffusione del vaccino nei bambini è sotto la soglia considerata di sicurezza – circa 92% contro il 95% – e negli anziani si stima che sia inferiore a quella del vaccino antinfluenzale, che già non è ottimale, attestandosi intorno al 53% della popolazione interessata. «Oggi abbiamo a disposizione un vaccino che colpisce 13 ceppi del batterio, quelli più diffusi e frequentemente implicati nella polmonite, e garantisce una buona copertura – spiega Pregliasco – una sola iniezione a cui, eventualmente, si può aggiungere dopo 1 anno un secondo vaccino – contro 23 ceppi – per rilanciare la spinta immune». Insomma, gli strumenti per la prevenzione ci sono, ma sono poco utilizzati.
Una volta ammalati, invece, l’arma più efficace sono gli antibiotici. «Questo è uno dei casi in cui la terapia antibiotica è indicata, anche quando la causa è un virus perché spesso a questo si aggiunge anche un’infezione batterica. Ma a prescriverla deve essere sempre un medico», specifica Blasi. La certezza che si tratti di polmonite si ottiene con la radiografia dei polmoni, ma già auscultando il paziente il medico riesce ad avere un’idea abbastanza precisa della situazione. Quindi, se dopo 3-4 giorni di influenza le condizioni non migliorano e la tosse persiste, soprattutto nel caso di anziani, non è il caso di perdere tempo: il consiglio è di andare dal medico per escludere la polmonite.