la Repubblica, 21 gennaio 2020
Zion Williamson è chiamato a salvare l’Nba
L’avvocato Adam Silver adesso starebbe, probabilmente, seduto alla scrivania tenendosi pensieroso la fronte, se il 6 luglio del 2000 in una vecchia città coloniale del North Carolina, Salisbury, non fosse nato un bambino di nome Zion. Lo chiamarono così, come il monte Sion caro agli ebrei, prima casa di Davide e Gerusalemme, perché il piccolo avesse un nome diverso da tutti e la vita irripetibile di un re. Diciannove anni dopo, quel bambino avrà il compito di restituire serenità al commissioner Silver e al circo scintillante della Nba in crisi di ascolti.
Domani notte Zion Williamson, pronunciato “Zaion Uilliamsn”, debutterà a New Orleans contro gli Spurs di Marco Belinelli. Nonostante abbia giocato solo un anno al college e quattro amichevoli, il rookie viene seguito con un rispetto soprannaturale: Espn ha stravolto il palinsesto tv, cancellato la diretta di Denver-Houston, la più importante a Ovest, per trasmettere in chiaro quella dei quartultimi in classifica. L’orario è slittato di un’ora, perché la vedessero in prima serata in tutto il Paese. È un debutto salvifico. L’emigrazione delle star a Occidente, con tre ore di differenza rispetto a Est, e la sequenza di tendini, ossa e clavicole infortunate, che hanno messo fuori gioco Stephen Curry, Kevin Durant e Kyrie Irving, hanno fatto crollare gli ascolti. La media è scesa a 885 mila spettatori a partita, meno 15 per cento in un anno, proprio nella stagione in cui se n’è andato David Stern, il commissioner che rivoluzionò uno sport dove, nell’86, trasmettevano ancora in differita gara3 delle finali.
Ma ora c’è Williamson, il debuttante più atteso di sempre: numero 1 al Draft, 198 centimetri per 129 chili, Zion ha il fisico di Charles Barkley ma più veloce, è mancino ma tira con tutte e due le mani, schiaccia come Vince Carter e corre come, ehm già, come nessuno. Lo hanno definito “scherzo della natura”, “fricchettone della velocità”, Copernico del basket, dicono cambierà per sempre la percezione di questo sport, perché abbina massa gigantesca a velocità irreale. «Non è veloce per essere un gigante – spiega il manager dei Pelicans, Dave Griffin – è veloce per essere un velocista». Tre anni fa, i ricercatori di un laboratorio di scienze si fecero trenta chilometri di traffico a Houston per finire in una oscura palestra e misurare le prestazioni aerodinamiche di Williamson, che aveva appena 17 anni. Zion era senza maglietta, con indosso solo pantaloni elastici e sneakers. Ne ripresero i movimenti con otto telecamere tech, i risultati apparivano sul tabellone in tempo reale. Da fermo, il ragazzo si staccò da terra di 83 centimetri, nonostante pesasse già più di cento chili, mentre il suo atterraggio su una piattaforma elettronica produsse il doppio di energia rispetto a quella necessaria per spezzare un mattone con un colpo di karate. I ricercatori restarono in silenzio: nessuno con quel corpo poteva volare in quel modo. Anni di biodinamica in crisi.
Naturalmente, c’è anche molto basket. Zion aveva portato la squadra del liceo a vincere il titolo statale per tre anni di fila con una media di 36 punti a partita. Scelto da Duke, Espn creò apposta per lui una telecamera dedicata. Ogni volta che partiva per schiacciare, gli spettatori a casa lo seguivano come il decollo dello Shuttle. Ma il 20 febbraio di un anno fa tutto poteva finire: dopo appena 36 secondi, Zion era scivolato sul parquet, tradito dalla scarpa Nike, che sotto il suo peso era come esplosa. Il fricchettone uscì zoppicando, l’invincibile Duke perse 88-72 e la Nike, il giorno dopo, bruciò un miliardo di dollari in Borsa. A metà marzo Zion riprese da dove aveva finito: segnò 13 canestri su 13 tentativi. Il 15 aprile si dichiarò eleggibile per l’Nba, il 20 giugno venne scelto da New Orleans, il 1° luglio firmò un contratto da 43 milioni di dollari in quattro anni. Venti giorni dopo, quello con la Jordan per 75 milioni, secondo più ricco della storia per un rookie dopo i 90 di LeBron nel 2003. Nelle prime quattro partite di preseason, Zion aveva già dimostrato di essere la migliore versione di se stesso, con 23.3 punti a partita e 71 per cento al tiro. Ma, a ottobre, poco prima del via, ha avuto un altro ko. Stavolta, menisco.
Quando il vaso si è rotto, il suo modello ha continuato a vivere nell’immaginario dei tifosi, ma Silver ha tremato. I preparatori atletici dei Pelicans hanno cominciato a studiare il modo di muoversi del ragazzo e scoperto due anomalie: Zion camminava a passi troppo larghi, come l’Uomo Sabbia della Marvel, scaricando tutto il peso sulle dita dei piedi, e quando atterrava dopo una schiacciata ruotava male piedi, rotule e bacino. L’enorme massa non era la causa degli infortuni, ma un moltiplicatore di quei difetti. Così, a 19 anni, e oltre cento milioni di dollari già garantiti, Zion ha dovuto reimparare a camminare. Nel frattempo, poiché in Nba amare è vendere, la maglietta di Zion, naturalmente con il numero “1”, è entrata nella top 15 delle più richieste. E pensare che dopo il primo infortunio, assalito dai dubbi, il ragazzo aveva chiesto a coach Krzyzewski di lasciarlo a Duke per un altro anno. Coach K gli rispose no. Storia mai confermata, ma una verità resta: la vita non anticipa mai. Il tempo di Zion è arrivato e l’orologio perfetto dell’organizzazione Nba lo conferma, spostando di un’ora le lancette perché tutti potessero assistere alla sua discesa sulla terra.