La Stampa, 21 gennaio 2020
QQAN20 Un inedito di Leopardi su Dante
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La scoperta ha fatto il giro del mondo e scosso la tranquillità dell’ermo colle a Recanati. Anche se non si tratta di un nuovo Passero solitario o di un seguito segreto di A Silvia. Perché porta con sé una storia che solleticherebbe autori come Dan Brown.
L’inedito è una recensione firmata da Giacomo Leopardi a L’ombra di Dante - «visione» in terzine di Giuliano Anniballi stampata a Loreto nel 1816 - che fino a oggi è rimasta lontana dagli occhi del mondo. C’è voluta la dedizione in guanti bianchi (necessari per sfogliare i 10 mila documenti leopardiani della sezione «Manoscritti e rari» al secondo piano della Biblioteca Nazionale di Napoli, dove Leopardi visse quattro anni e morì nel 1837) di Christian Genetelli, ordinario di Letteratura e Filologia italiane all’Università di Friburgo, «zibaldonologo» e membro del comitato scientifico del Centro Nazionale di Studi Leopardiani di Recanati, per scoprire il documento.
Il suo ritorno alla luce, dopo oltre mezzo secolo trascorso nel labirintico forziere della biblioteca, è stato raccontato dallo studioso nel volumetto Un’inedita e ignota recensione di Giacomo Leopardi («L’ombra di Dante») (Led Edizioni, pp. 66, € 20) che sarà nelle librerie tra pochi giorni. L’Ombra di Dante è un poemetto di 292 versi in terzine dantesche. Si racconta di un io smarrito a cui, dopo una prima visione infernale, del «Regno di morte», appare un’anima salvifica, quella di Dante Alighieri. «Il vento e i pizzicagnoli disperderanno questa poesia prima che alcun letterato l’abbia veduta», scrisse Leopardi nell’introduzione: ed è sorprendente come la profezia si sia avverata.
Si tratta di un solo e semplice foglio, vergato sul recto e sul verso. La grafia, rotonda e curata, è indubbiamente quella dell’autore dell’Infinito in età giovanile. E anche se non si tratta di una poesia, «non è certo un prodotto», come osserva Genetelli, «avantestuale o non definitivo, bensì un testo in sé concluso, in bella copia e persino firmato. Una recensione, o meglio una selezione delle terzine più apprezzabili dell’opera di Anniballi, precedute da un’introduzione, con ogni probabilità destinata alla sezione «Rivista letteraria» del periodico Lo spettatore.
In realtà, spiega il filologo, la recensione fin dall’inizio si è mostrata come una scatola cinese di dubbi sciolti solo grazie a lunghe ricerche e viaggi su e giù per l’Italia: «Partendo dal primo enigma, il fatto che la pagina non era firmata con le iniziali di Giacomo Leopardi, ma con le lettere M.D.». Una specie di depistaggio attuato dal poeta che aveva appena lasciato gli interessi astronomici per dedicarsi allo studio letterario «matto e disperatissimo»? O uno dei primi fake della storia, realizzato copiando la grafia del «giovane favoloso» per poi spiazzare il lettore con una firma fuorviante? «In realtà la sigla M.D. era stata utilizzata altre volte da Leopardi», chiarisce lo studioso: «significa Monaldoade, il soprannome omerico che gli aveva dato lo zio Carlo Antici».
Genetelli è emozionato, e non riesce neppure a ricordare il giorno esatto in cui ha ritrovato il documento: «Tempo fa durante uno dei miei soggiorni a Napoli per lavorare sulle carte leopardiane, ho chiesto la riproduzione di una serie di materiali, potenzialmente interessanti: fra questi la misteriosa Ombra di Dante». Quando a casa lo lesse con attenzione capì subito che si trovava di fronte a un inedito di Leopardi, ma anche che, in assenza di una copia originale dell’Ombra di Dante scritta dal «signor Giuliano Anniballi» (come riporta la copertina), la sua scoperta era solo parziale: «Forse non tutti lo sanno, ma Leopardi amava fare scherzi letterari, per esempio una volta scrisse un Inno a Nettuno che in realtà era la traduzione di un testo greco mai esistito».
La ricerca del volume di Anniballi durò mesi, «non ve n’era traccia né nelle biblioteche nè su Internet». Sino a un bellissimo giorno, quello in cui il professore di Friburgo scopre che il volumetto è apparso su una vendita on line. «Non mi parve vero, e quando lo ricevetti capii dalla prima pagina molte altre cose». Prima di tutto la stamperia Rossi che aveva pubblicato il libro era la stessa di cui la famiglia Leopardi si era servita più volte per pubblicare cose proprie. «Poi ci fu un secondo indizio decisivo che trasformò quel foglio in un inedito leopardiano, perché L’ombra di Dante aveva uno specialissimo dedicatario: Sebastiano Sanchini, zio di Giuliano Anniballi, nientemeno che il sacerdote diventato nel 1807 il precettore di Giacomo Leopardi». Un altro ottimo motivo perché il poeta si interessasse all’opera al punto di recensirla. Fu forse Francesco Cassi, cugino del conte Monaldo Leopardi, a suggerire il nome del precettore. Un lavoro che gli diede molta soddisfazione, ma che cinque anni dopo lo portò ad abbandonare l’educazione del giovane Leopardi. Fu lui stesso a comunicarlo al padre: «Caro Monaldo, non ho più nulla da insegnare a questo ragazzo».