La Stampa, 21 gennaio 2020
Parla il vigile in mutande di Sanremo
Dall’altra parte della strada gli amici lo applaudono e gridano: «Assolto, assolto!». Lui muove entrambe le mani con il palmo in basso, come dire: calma, devo prima capire se è davvero finita. Alberto Muraglia sta sull’uscio della bottega di aggiustatutto, il mestiere con cui si è reinventato la vita, piena di stufe, forni, televisori: «Ci so fare, sistemo ogni cosa, sono ripartito da qui».
Non ci sarà ancora da alzare i calici, ma Muraglia ha il volto disteso. Il vigile in mutande, protagonista della clamorosa inchiesta sui furbetti del cartellino al Comune di Sanremo nel 2014, è stato assolto: «Perché il fatto non sussiste. E lo stesso anche per un’accusa di corruzione che era venuta fuori durante l’inchiesta».
Difficile crederci, dopo che quell’immagine sbracata davanti alla macchina timbratrice era diventata l’emblema dell’Italia degli assenteisti, di chi ruba lo stipendio e mette nel sacco i lavoratori onesti. L’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva esclamato: «Questa è gente da licenziare in 48 ore, è una questione di dignità».
Muraglia, che effetto le ha fatto impersona l’emblema dell’Italia che non va, che truffa e non lavora, con l’aggravante di una foto così poco dignitosa?
«Sono stati quattro anni di tortura mediatica, di fronte alla quale si può reagire in due modi. Abbattendosi e sprofondando. Oppure reagire non dico con divertimento ma con serenità e ironia. Ho scelto la seconda, lo dovevo alla mia famiglia, ai miei figli. Non potevo farmi vedere distrutto».
Ha sostenuto dall’inizio dell’inchiesta di esser convinto dell’assoluzione.
«Io credo nella giustizia e ho sempre creduto di essere nel giusto e di non aver fatto nulla di male. La conferma ora è arrivata, anche se è stata dura. Una cosa mi ha disturbato su tutte, quasi nessuno ha mai avuto l’onestà mentale di far la domanda giusta: quelle timbrature erano fatte prima o dopo l’orario di servizio? Rispondo io: tutte prima, non ho mai rubato nulla».
Sì, ma le mutande, quelle maledette mutande riproposte mille e mille volte dai giornali e dalle tv, che senso avevano?
«Le cose vanno contestualizzate. Non ero un pazzo che andava a timbrare così nella sede del Comune, a Palazzo Bellevue. Io ero il custode del mercato. La macchinetta era in un corridoio davanti al mio appartamento, la usavo quando la struttura era ancora chiusa, ero io ad aprirla. Praticamente un contesto privato».
Però non era ancora pronto per lavorare...
«No: è stato dimostrato che indossare la divisa rientra nell’orario di lavoro. A volte mi sono dimenticato di timbrare quando già avevo iniziato a metterla, allora sono corso mezzo svestito a convalidare il badge. Il Comune ha guadagnato qualche secondo di lavoro, non l’ha perso e questo il giudice l’ha compreso. Al limite potrei aver fatto una mezza scorrettezza amministrativa, ma proprio al limite. Roba da un giorno di sospensione disciplinare».
Cosa è accaduto nella sua vita?
«Quello che succede quando uno viene licenziato, non ha più un lavoro e nemmeno l’alloggio di servizio. Però non sono crollato e mi sono rimboccato le maniche. Un parente mi ha offerto in comodato gratuito un appartamentino e questa bottega: mi ha salvato la vita. Oggi ho tantissimi clienti, lavoro per 200 condomini. Capisco l’impatto determinato dall’inchiesta e dalla foto: ma la gente di Sanremo mi conosceva, mi ha sempre stimato, mi è stata vicina. Sin dall’inizio sapeva qual era la verità».
In città è sempre andato a testa alta?
«Sempre. Vado persino al mercato, dove lavoravo, a far la spesa. Sono stato 18 anni lì, ho fatto anche parecchie multe agli operatori. Se avessi avuto la coscienza sporca non mi sarei fatto più vedere. Mi avrebbero detto: mi ha multato e poi lo str... eri tu? Invece no: mi hanno espresso tutti la loro solidarietà».
Adesso rivuole il suo posto di lavoro?
«Il ricorso l’ho già fatto. Ho portato 40 testimoni, ne hanno già ascoltati 22 e la prossima udienza sarà ad aprile. Io sono stato messo alla porta sulla scorta delle sole accuse. Ora che c’è una sentenza di assoluzione, credo valga qualcosa».
Sua moglie Adriana?
«Mia moglie è sempre accanto a me. Non ha mai avuto il minimo dubbio, visto che vivevamo anche insieme e sa tutto quel che è accaduto. Finire il lavoro, tornare a casa e trovarla è la vera gioia, il tesoro della mia vita».
E con lei si riparte...
«Dopo la sentenza, il mio cellulare sarà squillato 100 volte. Mi vogliono ospite in tutte le trasmissioni tv. Non ci penso nemmeno. Vorrei che dopo tanto tempo sulla mia vita calasse il silenzio, che tornasse la normalità. Intanto stasera vado a cena con Adriana».