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 2020  gennaio 21 Martedì calendario

Dior, pepli e domande

PARIGI Irrompe con tutta la sua forza ideologica, sempre alla ricerca ossessiva di un nuovo rapporto tra femminilità e femminismo, la nuova haute couture Dior di Maria Grazia Chiuri. Il peplo come capo simbolo assoluto che veste il corpo senza i compromessi della fisicità. Elemento primario che si drappeggia sulle forme, assecondandole e seguendole. Rispettando personalità, andando oltre ai pregiudizi. Non è per tutti seguire il filo creativo di questa stilista che non si accontenta del taglia&cuci e degli stereotipi che chiudono la moda entro i confini dell’apparire e, nel caso della couture, del lusso per pochissime elette. 
Sensibilizzare, ecco cosa. «What if women ruled the world?», come sarebbe il mondo se a comandare fossero le donne?, si chiede la designer. E la sua risposta è pronta, anche a parole: «Gestiremmo il potere in modo diverso, con più sensibilità. Ma c’è ancora tanta misoginia, troppa. Siamo ancora qui a pensare che se una donna vuole fare carriera è meglio se rinuncia ad essere madre». 
Nessuna appropriazione culturale, la stilista annuncia con entusiasmo di essersi avvalsa della collaborazione di Judy Chicago, ottantenne, storica femminista americana «autrice» della domanda e che per lo show realizza uno stage/installazione che è la grande dea Giunone incinta, senza concepimento. Dentro il suo ventre sfilano le altre dee e donne, le stesse che un tempo l’artista aveva seduto al grande tavolo triangolare dell’opera The Dinner Party. Al soffitto enormi manifesti realizzati dalle ragazze della scuola indiana di ricamo che Dior sostiene, proseguono con gli interrogativi ricamati a caratteri cubitali: Dio potrebbe essere una donna?, Uomini e donne potrebbero essere uguali?, Uomini e donne potrebbero essere gentili? Provocazioni che sanno di consapevolezza dell’occasione: un palcoscenico unico dove riflettere senza presunzione di cambiare il mondo, piuttosto di esplorare quell’universo femminile plasmato a misura di procreazione e poco sulla consapevolezza di sé. 
Dopo le parole la stilista passa gli abiti sui quali fa un lavoro di ricerca e delicatezza. Rispettando codici e tradizioni della maison con una leggerezza incredibile. Il peplo, si diceva, omaggio a quello d’oro di Marc Bohan, per molti anni designer di Dior. Tuniche e vesti da sera ma anche giacche e cappe che si drappeggiano senza tagli alcuni, piuttosto con torsion o plissé. Una contemporaneità suggellata da calzari e sandali privi di altezze per divinità sempre a contatto con la terra.
È invece dall’altra parte che Daniel Roseberry esplora per Schiaparelli quel mondo, interrogandosi con altrettanta sensibilità su di un sentire che sin da bambino ha percepito osservando sua madre, le sue sorelle, le sue amiche alla ricerca di una femminilità che lo stilista ha percepito in competizione per l’affermazione delle convenzioni più che del sé. E da questa dualità che il designer americano comincia forte della storia, professionale e privata, di madame Schiap il racconto di una donna surrealista e seduttrice, che vive il giorno e la notte fra giacche dai colli architettonici e misteriosi abiti di cristalli, trench over size color carne e pepli drappeggiati. Gioielli-simboli importanti e accessori ad enfatizzare l’immaginario. «Ho visto foto di Elsa nel suo studio e nelle feste che organizzava al palazzo Vendome. È una celebrazione di lei e dei due diversi aspetti di una personalità della donna. Indossava sempre i completi e poi li decorava con questi bijoux e tutto diventava spettacolare». Indubbiamente.