il Giornale, 20 gennaio 2020
Il sistema Autostrade tra proroghe e segreti
Il vero problema è che due torti non fanno una ragione. Non ha ragione il governo che sul caso Autostrade rischia di infilare gli italiani in una telenovela fatta di richieste e controrichieste di indennizzi e risarcimenti miliardari. Le scelte di Giuseppe Conte e soci, fino a quella estrema della revoca della concessione, paiono dettate più dal fondamentalismo ideologico tipico dei grillini che da valutazioni giuridiche. Alla fine il rimedio potrebbe essere brutto tanto quanto il male.
Allo stesso tempo sembra difficile dare ragione al gestore oggi nel mirino, il gruppo Atlantia della famiglia Benetton, che appare destinato a pagare, tutti in una volta, un paio di decenni di lobbismo da «prima repubblica» e l’ostinazione nell’alimentare e difendere un sistema malsano ma estremamente redditizio, costruito e mantenuto in spregio delle dichiarazioni di modernità e internazionalità distribuite a piene mani da azionisti e manager.
A chi considera troppo severo quest’ultimo giudizio si può consigliare la lettura della relazione della Corte dei Conti sulle concessioni autostradali presentata al Parlamento due giorni prima di Natale.
Nel documento, 200 pagine scarse, la posizione dei magistrati contabili è chiara sin dalla sintesi iniziale: «Fin dagli anni Novanta le Autorità indipendenti lamentano la mancata apertura al mercato delle concessioni e l’opacità della loro gestione, non essendo state le convenzioni di affidamento rese pubbliche fino all’anno passato». Le lamentele delle Autorità non hanno però avuto effetto alcuno e «il mantenimento dello status quo – prosegue la relazione – ha accentuato le inefficienze del sistema, quali l’irrazionalità degli ambiti delle tratte, dei modelli tariffari, di molte clausole contrattuali particolarmente vantaggiose per le parti private. Inoltre, costante è risultata nel tempo, la diminuzione degli investimenti». Risultato, secondo i giudici contabili: investimenti sottodimensionati ed extra profitti (contestati, questi ultimi, dai concessionari).
PILASTRI IN DISCUSSIONE
Più nel dettaglio, dice la Corte dei Conti, i difetti del sistema hanno riguardato le tariffe (sinora non regolate da un’autorità indipendente e per cui non si verifica la congruità con i costi); il capitale impegnato dai concessionari (non remunerato con criteri trasparenti e di mercato); gli investimenti (che di fatto non sono stati controllati). Non è roba da poco: in pratica a non funzionare sono i tre pilastri fondamentali della regolamentazione (o della mancata regolamentazione) del settore.
In tempi diversi, dicono giudici, e a vario titolo, le «magagne» sono state denunciate da tutte le Autorità indipendenti che potevano avere voce in capitolo: dall’Autorità per la concorrenza e il mercato fino a Banca d’Italia. L’unica esclusa, almeno fino a poco tempo fa, era quella che in teoria avrebbe dovuto essere più coinvolta: l’autorità per i Trasporti. Ma al momento della sua nascita il legislatore decise, con grande soddisfazione dei gestori autostradali, che non poteva mettere il becco, nemmeno a fini di controllo, nelle concessioni esistenti, per occuparsi solo di quelle nuove. Alle voci che periodicamente avanzavano perplessità e obiezioni si sono aggiunte poi quelle della Commissione europea, che ha spesso bacchettato l’Italia perché i comportamenti del nostro Paese non si conciliavano con le normative dell’Unione, e la stessa Corte dei Conti, che già nel 1997 dichiarò illegittima la Concessione ad Autostrade per l’Italia, l’Atlantia che figura oggi sul banco degli imputati.
SCARSA ATTENZIONE
Tutto irrilevante, visto che per legge i gestori avevano come controparte solo il pugno di tecnici (un centinaio di funzionari o poco più) dell’apposita struttura di Vigilanza transitata a suo tempo dall’Anas al ministero dei Trasporti. E su questo ultimo il giudizio dei magistrati contabili non è certo tenero: «Scarsa è stata negli anni l’attenzione degli organi di controllo interno del Ministero: nonostante la rilevanza delle risorse finanziarie coinvolte nessun organismo indipendente di valutazione o servizio di controllo interno ha proceduto a valutazioni sullo stato delle concessioni, pur in presenza di numerosi pronunciamenti delle Autorità indipendenti che segnalavano le numerose criticità del sistema vigente».
Quanto alla politica, ha sempre preferito guardare da un’altra parte. O, peggio, ha fatto delle scelte che si sono rivelate sbagliate. Come nel 2008, quando, come scrive la Corte dei Conti, «per superare le rilevanti obiezioni sollevate dagli organi tecnici e di controllo la maggior parte delle concessioni fu approvata per legge».
SEGRETO DI STATO
Il nodo della questione, come ovvio, sono i soldi: le tariffe pagate dagli automobilisti che devono tener conto del capitale impegnato dai gestori, con gli aumenti dei pedaggi legati a nuovi investimenti. Per quanto riguarda questi ultimi, dice la Corte dei Conti, la remunerazione riconosciuta dallo Stato ai gestori «risulta notevole». I giudici paragonano per esempio i tassi fissati dall’Autorità per l’energia nel dicembre del 2007 e applicati agli interventi in campo elettrico e quelli riconosciuti ad Autostrade per l’Italia a partire dallo stesso anno: siamo al 7% per le reti elettriche, e al 10,45% per le autostrade.
Il meccanismo delle tariffe è stato poi fissato in modo da favorire i gestori. Il documento presentato al Parlamento cita a questo proposito la relazione con cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato motivò il parere negativo alla Convenzione conclusa a suo tempo tra l’Anas e Autostrade per l’Italia: «Con il meccanismo di adeguamento tariffario viene meno la possibilità di verificare l’andamento della produttività del gestore, di rivedere periodicamente le tariffe e di ridistribuire agli utenti parte dei benefici derivanti dai recuperi di produttività, che sono pertanto destinati a tramutarsi in rendite monopolistiche». Rendite monopolistiche, appunto.
In tutti i casi una valutazione ragionata delle convenzioni è stata per molti anni impossibile. Ministero e concessionari autostradali hanno sempre rifiutato di rendere noti i testi delle convenzioni facendo riferimento all’esigenza di tutelare i segreti industriali delle società coinvolte. A suo tempo il ministero dei Trasporti si rifiutò di fornire i dati perfino all’Autorità di settore, con una decisione che la Corte definisce «un grave pregiudizio al buon andamento dell’agire amministrativo e alla leale collaborazione tra organi dello Stato».
Dopo polemiche infuocate, nel febbraio del 2018 i testi incriminati sono stati diffusi, ma senza gli unici numeri significativi dal punto di vista finanziario, quelli che riguardavano i premi economici riconosciuti ai gestori, le opere da realizzare, il loro ritorno, le penali per i mancati lavori. C’è voluto il crollo del Ponte Morandi e l’emozione successiva perché Ministero e concessionari cedessero e nello stesso agosto del 2018 pubblicassero integralmente gli atti con tutte le cifre che permettono di capire la sostanza economica degli accordi.
USATO SICURO
Un capitolo a parte è quello delle continue proroghe con cui i gestori hanno visto prolungare la durata delle loro concessioni riuscendo con vari escamotage a evitare gare pubbliche. La prima gara (quella relativa alla A21, la Torino-Brescia) è solo del maggio del 2017. Praticamente ieri se si pensa che Corte dei Conti e Autorità garante per la concorrenza avevano protestato già per la prima proroga concessa ad Autostrade una ventina d’anni fa. La gran parte delle concessioni scadrà solo dopo il 2030, quella di Autostrade per l’Italia nel 2042. La situazione, ha scritto l’Agcm, impedisce «di selezionare al meglio e per tempo i gestori in termini di qualità e sicurezza dei servizi, propensione agli investimenti e minor costo di gestione» e va a tutto «vantaggio degli operatori attuali».
Ora bisognerà vedere se la tragedia del Ponte Morandi avrà come conseguenza una riforma in grado di garantire più efficienza e trasparenza o se si trasformerà in una sorta di vendetta medievale.