Corriere della Sera, 20 gennaio 2020
«C’è posta per te», una grande seduta di terapia collettiva
E se «C’è posta per te», al suo cuore, non fosse altro che una grande seduta di psicoterapia collettiva? Guardando le nuove puntate del programma, non si può fare a meno di ripensare a un fenomeno mediatico molto forte negli Stati Uniti, dove imperversano da molti anni diversi talk show radiofonici condotti da psicologi e terapeuti, a cui gli ascoltatori si rivolgono con confessioni e richieste di aiuto che quasi sempre coinvolgono conflitti familiari e problemi sentimentali, di coppia e matrimoniali, che non riescono a risolvere e pesano come macigni sulla loro quotidianità.
Spesso, gli psicologi in questione diventano vere e proprie star mediatiche, icone pubbliche della terapia. Maria De Filippi, come noto laureata in giurisprudenza, è diventata terapista sul campo, con anni d’indagine nelle pieghe della tv del dolore. È in fondo un modello già inventato e portato ai massimi livelli da Oprah Winfrey (e da Maurizio Costanzo). In tutta onestà, si fatica a immaginare i mittenti delle lettere di «C’è posta per te» che vanno in terapia: e allora c’è la Maria De Filippi S.P.A., che ha costruito un surrogato mediatico alla mediazione familiare.
Maria conforta e ammonisce, trova le parole per esprimere e razionalizzare conflitti interiori che spesso il materiale umano del suo cast non riesce a esprimere e, al contempo, per narrativizzare le storie in funzione del pubblico a casa, che resta ipnotizzato e avvinto fino al climax degli eventi. Gli ascolti del programma (roba da tv pre-digitale terrestre) confermano la trasversalità del fenomeno. La cosa curiosa è lo stile con cui Maria conduce la «seduta» collettiva, è una fredda che in questa circostanza gioca da «calda»: fa sue le storie (traspare una grande preparazione sui casi), dando ai protagonisti dei vari casi la sensazione di non essere in fondo, così distante da loro, con grande abilità nel rendere trasparente l’inevitabile atteggiamento protettivo della situazione.