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 2020  gennaio 19 Domenica calendario

A tu per tu con Rocco Commisso

I concetti più complicati – le operazioni finanziarie e tutto quello che riguarda il business – Rocco Commisso li spiega in un inglese che è un mix tra il linguaggio di un magnate delle telecomunicazioni e lo slang di un banchiere di Wall Street. Ogni tanto chiede aiuto al figlio Joseph che con la calcolatrice del telefonino elabora i numeri: 165 milioni di euro, il prezzo pagato per comprare la Fiorentina dalla famiglia Della Valle; 375 milioni di euro, il costo delle quote per arrivare al 100% di Mediacom, la sua «company»; 3,3 miliardi di euro, il debito (oggi ripianato) del periodo in cui «ero l’uomo più indebitato dell’intero pianeta». 
Quando parla di calcio, l’italiano diventa la lingua madre. Un italiano del Bronx, non fluente ma appassionato e perfettamente comprensibile. In italiano ha chiesto ai tifosi della Fiorentina, che lo hanno ascoltato, di non insultare i terroni («altrimenti insultate me») e di non fare più i cori contro Gaetano Scirea, lo storico capitano-gentiluomo dell’arcirivale Juventus, morto in un tragico incidente stradale nel lontano 1989. 
Al calabrese, lingua della terra d’origine, invece, riserva le esclamazioni, la felicità, i moti di insoddisfazione, la rabbia e tutto quello che viene dalla pancia. «Non vogghiu u nesciu pacciu» («non voglio diventare matto») dice, per esempio, quando racconta le riunioni infinite e le difficoltà della «burocrascia» per avviare il progetto dello stadio di Firenze. «Ho fatto più riunioni qui in sei mesi – spiega con un sorriso bonario – che negli Usa in 40 anni. Eppure ho portato un giga di servizio internet in 22 Stati e 1.500 località sparse in tutta l’America». 
Al ristorante Undici Leoni, proprio davanti allo stadio Franchi di Firenze, Rocco siede a capotavola con alla sua destra la moglie Catherine, originaria di Siderno, il paese accanto a Gioiosa Jonica, e il figlio Joseph. All’altro capo del tavolo Joe Barone, americano di origini siciliane, direttore generale della Fiorentina e uomo di fiducia del presidente. Rocco e i suoi manager sono reduci da una riunione a Palazzo Vecchio con il sindaco di Firenze Dario Nardella, i funzionari della Sovrintendenza ai Beni architettonici e i dirigenti del Comune che stanno lavorando alla pratica dello stadio. Sul tappeto ci sono, da tempo, due opzioni: la ristrutturazione del Franchi e la costruzione ex-novo di un impianto nell’area del Mercafir, il mercato ortofrutticolo. Sul Franchi pesa il vincolo architettonico – la tribuna è un’opera di Pier Luigi Nervi – e Rocco vorrebbe capire in tempi rapidi che tipo di intervento è possibile. «Con il sindaco Nardella e la Sovrintendenza lavoriamo in armonia e sono sicuro che troveremo una soluzione ragionevole. Ho capito che l’interpretazione delle regole in Italia è molto complicata. A Firenze non si possono abbattere le curve del Franchi, che non sono vincolate, mentre a Bologna, dove la situazione è uguale, si possono demolire. Senza l’abbattimento delle curve, è difficile migliorare il Franchi. Se la soluzione è la costruzione di un altro impianto, sono disponibile, ma al giusto valore dei terreni e con un via libera in due anni».
Commisso morde il freno. Si capisce che il suo standard decisionale è quello americano. Si valuta, si sceglie, si investe senza esitazioni. Sono i tempi morti che non concepisce. A Bagno a Ripoli, dieci minuti di auto dal Franchi, Rocco ha acquisito in un amen i 25 ettari di terreno su cui a febbraio partiranno i lavori per la costruzione del modernissimo centro sportivo della Fiorentina. Settanta milioni di investimenti per due mini-stadi, i campi d’allenamento per la prima squadra, le donne e il settore giovanile. Il centro medico aperto al pubblico, le piscine. 
«Non sono venuto in Italia per guadagnare con il calcio o per fare altri business. Non voglio fare politica e non ho bisogno di pubblicità. Ma non voglio neanche buttare soldi, questo è chiaro. Sono qui per divertirmi, far divertire i tifosi della Fiorentina e vincere qualcosa. Ma per farlo bisogna organizzare la società seriamente. Servono le strutture in tempi ragionevoli». Commisso estrae da una cartelletta un paio di fogli di carta. Il primo è la schermata riassuntiva dei fondamentali di Mediacom. Rocco indica la liquidità disponibile, 580 milioni di dollari, e un tasso di interesse debitore medio del 3,3%. «Siamo messi meglio dello Stato italiano», dice strizzando l’occhio. «Sono liquido e voglio investire in Italia. Penso sarebbe normale che le procedure venissero velocizzate, ma resto fiducioso».
Il secondo foglio è la Deloitte Football Money League 2019, la classifica dei fatturati delle squadre europee. La media dei ricavi è 464 milioni di euro, la Fiorentina è a 94. La media degli introiti commerciali è 185,6 milioni, la Viola è a 21. Numeri non all’altezza delle potenzialità di un brand come Firenze, noto in tutto il mondo. «C’è tanto da lavorare, ma ci sono enormi margini per aumentare i ricavi e migliorare la squadra».
Qua parte una delle apparenti digressioni di Commisso. Il ragionamento è semplice: il metodo del business è l’unico strumento possibile per rafforzare la squadra, non esistono scorciatoie. «Nel 2008 ho rilevato le quote di Mediacom del mio socio storico la settimana prima della crisi di Lehman Brothers. Poi, paradossalmente, ho finanziato la società con i soldi che il governo dava alle banche per salvarle. Ma ho creduto nel cablaggio delle città e dei paesi più piccoli in America dove non c’era nessun altro e non ho avuto paura di prendere questo rischio. I ricavi di Mediacom crescono da 92 trimestri consecutivi e sono l’unico imprenditore presente nella classifica di Forbes che ha giocato a calcio al college. Oggi i ricavi del pallone, checché se ne dica, sono in aumento. Se si fanno le cose seriamente si può crescere». 
La Fiorentina è arrivata al momento giusto. Nel 2010, quando è sbarcato in Italia James Pallotta, gli era stata offerta la Roma («ma in quel momento – ripete – ero l’uomo più indebitato del pianeta»). Prima ancora, dopo l’era Mantovani, la Sampdoria. Poi molte società del Sud. In mezzo, l’unica richiesta di Commisso: entrare come socio di minoranza nella Juventus, la squadra per cui faceva il tifo da bambino. «Volevo un ruolo da semplice finanziatore come quello che aveva avuto la Lafico di Gheddafi. Ma la famiglia Agnelli ha declinato l’offerta. Acqua passata...». 
Infine il Milan. Al tempo di Li Yonghong è arrivato allo scambio dei documenti. «La sera prima della firma – dice Rocco in dialetto calabrese, la lingua della pancia – Li ha cambiato avvocati, consulenti, banche, clausole ed è sparito. Non l’ho mai visto di persona. Né prima né dopo. Ma esiste? La mia offerta era migliore di quella a cui ha chiuso un anno e mezzo dopo, perdendoci altri 500 milioni di euro. Mahh... Cu capisci è bravu» («chi capisce è bravo»).
Non lo sapevamo, ma Commisso è stato a lungo una potenziale ciambella di salvataggio per molti club italiani. Liquido, noto alle banche d’affari in cerca di potenziali investitori esteri, ma soprattutto sincero appassionato di calcio e italiano dentro. «Da ragazzo ammiravo Sivori, Charles, Hamrin. Grazie al calcio ho avuto la borsa di studio della Columbia che mi ha consentito di studiare. Ero un centrocampista centrale di passo lento e lingua lunga... Fumavo e prendevo in giro quelli che correvano per allenarsi. Nonostante tutto, sono stato il capitano dell’unica squadra universitaria imbattuta, Columbia 1971, e sono stato preselezionato per la nazionale Usa per Monaco 1972. Poi solo tifo per l’Italia: ho amato profondamente la Nazionale dell’82, del ’90, del ’94. Roberto Baggio...»
Ma appesi gli scarpini al chiodo è salita la voglia di avere una squadra. Ha comprato i Cosmos di New York. Pelè, Neeskens, Chinaglia, Carlos Alberto. «Con questa storia, la Lega in cui giocano i Cosmos è stata privata del professionismo da un’organizzazione demenziale. Decidono loro chi gioca in Mls e chi no. Stanno bloccando la crescita del calcio in America. Infatti per i diritti incassano meno della Lega messicana. Espn paga 300mila dollari per trasmettere le partite del campionato Usa e tre milioni per quello messicano. Le persone che gestiscono il calcio in America non capiscono nulla».
Il calcio non è il baseball, il football o il basket, ragiona Commisso. Non si può decidere a tavolino chi partecipa alle leghe. «Servono le promozioni e le retrocessioni, i campionati a inviti ammazzano la passione. Per questo sono contrario alla Superlega e a ogni altro meccanismo a invito di iscrizione ai campionati. Il calcio ha una sua tradizione e una passione che non può essere uccisa dal business. I tifosi, giustamente, vogliono la competizione e i risultati».
Rocco non si tira indietro. «A Firenze dobbiamo fare di tutto per tornare a vincere qualcosa. È dai tempi di Cecchi Gori che non si alza un trofeo. Non mi piace fare promesse che non sono sicuro di poter mantenere, ma questo è l’obiettivo per cui dobbiamo lavorare».
La squadra va migliorata, ma senza pazzie, con investimenti mirati sui calciatori e senza obbligare nessuno a rimanere. A partire dal gioiello Chiesa. «Federico non mi ha mai chiesto di andare via. E neanche il papà-procuratore. Se Chiesa mi chiedesse di andare, servirebbe un’offerta adeguata al suo valore. Altrimenti lavoriamo al rinnovo del contratto. Lo stesso vale per gli altri calciatori della rosa. Noi non mettiamo nessuno sul mercato, ma se i ragazzi ci chiedono di andare via, valutiamo le offerte. Pronti a reinvestire. Siamo vigili su mercato per acquisire calciatori forti e giovani. Non mi piace perdere e non mi piace fare brutte figure. Io voglio divertirmi e chi viene allo stadio deve divertirsi con me».