Il Sole 24 Ore, 19 gennaio 2020
I 1.000 miliardi per il Green deal europeo
Mille miliardi di euro in dieci anni per il Green deal europeo. È la cifra prevista dal piano «verde» dell’Unione europea. Dove li troverà la Commissione Von der Leyen? È la domanda su cui si sono arrovellati in tanti in questi giorni dopo l’annuncio del progetto di Bruxelles. I dubbi sono legati alla base di partenza, ovvero ai 7,5 miliardi di euro imputati al bilancio pluriennale dell’Unione europea. Ecco dunque arrivato il momento di fare i conti in tasca alla finanza sostenibile a livello mondiale per capire da dove potrebbero arrivare i capitali privati che finanzieranno il Green deal europeo. Per cominciare dall’Italia, Carlo Messina, ceo di Intesa SanPaolo, non più tardi di giovedì ha dichiarato che è disposto a mettere sul tavolo 50 miliardi di euro di prestiti aggiuntivi per rispondere alle sfide del cambiamento climatico.
I dati Gsia
Ammontano a circa 31 mila miliardi di dollari i patrimoni investiti in maniera socialmente responsabile nel mondo: a fornire la cifra è Global Sustainable Investment Alliance (Gsia), l’organizzazione che riunisce associazioni e forum di tutto il mondo specializzati in finanza sostenibile. Il report Gsia è biennale: i dati sono relativi al 2018 e sono in crescita del 34% rispetto al 2016 quando la massa di investimenti socialmente responsabili ammontava a 22,9 trilioni di dollari.
Fra le aree geografiche più sensibili ai temi della sostenibilità c’è l’Europa, al primo posto con 14 mila miliardi di dollari investiti in asset socialmente responsabili, seguita da Stati Uniti (12 trilioni), Giappone (2,18),Canada (1,69) e Australia/Nuova Zelanda (734 miliardi).
BlackRock, Norges Fund, Gpif
C’è poi l’effetto emulazione innescato da tre big della finanza mondiale: BlackRock, Norges Fund e Government pension investment fund (Gpif). Il primo dei tre è il più grande asset manager del mondo con 7 mila miliardi di dollari in gestione. Larry Fink, numero uno di BlackRock, ha ribadito la scorsa settimana il ruolo centrale delle strategie sostenibili ponendo l’accento sul climate change. Inoltre il gruppo di risparmio gestito americano ha di recente aderito a Climate Action 100+, organizzazione di investitori istituzionali internazionali attivi nell’engagement (confronto) con le aziende quotate sui temi sostenibili; un’adesione che arriva dopo le critiche a BlackRock di alcuni centri studi e organizzazioni ambientaliste a proposito del suo voto nelle assemblee delle aziende quotate, non sempre in linea con la tutela del clima.
Norges Fund e e Gpif sono rispettivamente il più grande fondo sovrano al mondo (mille e 100 miliardi di dollari) e il più grande fondo pensione del pianeta (mille e 500 miliardi di dollari). Norges Fund è il fondo sovrano norvegese che da anni applica le strategie di sostenibilità ai suoi investimenti; denaro che in gran parte proviene dall’estrazione di petrolio nei mari del Nord.
Gpif è invece il fondo pensione con cui viene alimentata la previdenza di una buona fetta della popolazione giapponese. Le strategie green sono entrate da poco nel mondo finanziario di Tokyo; eppure Gpif ha già messo in subbuglio il settore dichiarando non sostenibile il “prestito titoli in azioni”, facendo venire così il mal di pancia a tanti hedge fund.
Il ruolo della Bei
Perno del Green deal europeo sarà la Banca europea degli investimenti (Bei), ribattezzata Climate Bank dopo aver messo al bando i carburanti fossili dai suoi finanziamenti. Una fonte terza (e anche un po’ scettica rispetto al green deal) come l’ufficio studi della tedesca Commerzbank, stima in 250 miliardi di euro il contributo di Bei al piano verde della Van der Leyen.
A quanto si sa proprio in questi giorni, la Bei è stata sommersa di richieste di green bond da parte di investitori istituzionali. Finanziamenti verdi in tutte le valute. Responsabile del sustainability funding della Bei è un italiano: Aldo Romani, il “padre dei green bond” (vedi intervista in basso).
L’”ambiente” delle regole
Il primo green bond della Bei è del 4 luglio 2007 ma è un errore focalizzarsi in modo esclusivo sulle possibili fonti di finanziamento. Bruxelles da oltre dieci anni sta costruendo in Europa un ambiente di regole per spingere Stati e aziende a diventare più sostenibili. È del 2013, per esempio, la direttiva Ue sulla dichiarazione non finanziaria; provvedimento modificato nel 2014 che obbliga tutte le aziende quotate e le banche e assicurazioni (anche non quotate) con oltre 500 dipendenti, a pubblicare il rendiconto non finanziario, considerato parte integrante del bilancio. Inoltre c’è la tassonomia (classificazione) delle attività economiche green e le nuove linee guida Esma per i green loan. Una nuova cornice giuridica, improntata alla sostenibilità, che ha l’obiettivo di moltiplicare le risorse verdi in Europa.