Corriere della Sera, 19 gennaio 2020
Il regalo ai dipendenti dei fratelli generosi
Sulle prime, dopo che la voce del regalo si è sparsa nello stabilimento di Reggio Emilia, molti dei dipendenti non ci hanno creduto: «Sarà uno scherzo...». Invece è tutto vero: i fratelli Enzo e Maurizio Bartoli, dopo aver ceduto l’«Industria chimica emiliana», fondata nel 1949 dal padre Walter, a un fondo d’investimento Usa, hanno fatto un dono alle maestranze. A seconda di anzianità e ruolo, operai e ricercatori, manager e impiegati, si sono ritrovati – in busta paga o in un assegno spedito da un notaio – una somma tra i 5 mila e i 25 mila euro. Enzo, ingegnere chimico settantenne (Maurizio è diplomato al Conservatorio e ha 65 anni) minimizza: «Ci è sembrato un gesto del tutto normale; abbiamo voluto ringraziare chi con il proprio lavoro ha valorizzato la nostra azienda: molti sono alla Ice spa da quando erano ragazzini». Fa subito tre nomi, anche se vorrebbe elencare l’intero organico: «Roberta Manfredi, insostituibile segretaria d’azienda da 36 anni; poi Roberto Rivi: fece da noi degli stage estivi e doveva ancora diplomarsi, oggi è responsabile della produzione. E anche Lina Elisabetta, addetta all’amministrazione».
L’azienda reggiana è una delle eccellenze italiane del settore chimico/farmaceutico. Produce acido ursodesossicolico, un principio attivo utilizzato per la cura di malattie gastrointestinali. L’ingegnere semplifica: «Ci occupiamo delle polveri che poi le aziende farmaceutiche trasformano in compresse». Dopo la cessione a novembre – per una cifra sui 600 milioni di euro «la cui metà è finita in tasse all’Erario» ironizza Bartoli – i mille dipendenti sparsi tra Emilia e Piemonte, Brasile, Stati Uniti e India sono passati alle dipendenze del gruppo Advent International, colosso della finanza. Nessuno, naturalmente, ha perso il posto di lavoro.
I 55 nel «quartier generale» di Reggio Emilia e i 220 nella sede di Basaluzzo (nell’Alessandrino) hanno già ricevuto il dono a Natale. Per gli altri in giro per il mondo «il riconoscimento giungerà in modi da studiare». Per quelli che lavorano in Brasile – «dove la sanità pubblica ha diversi problemi» – qualcosa è già arrivato. «Una mattina stavo entrando nella nostra filiale a Jacarezinho (stato del Paranà, ndr) e vidi che all’ingresso – racconta Enzo – mancava Luis, l’addetto alla sicurezza che mi accoglieva salutandomi: era corso in ospedale per la morte, a causa di una febbre inspiegabile, della figlia dodicenne. Estendemmo allora a tutto il personale un’assicurazione sanitaria privata».
Ma perché vendere la Ice? «L’attività era troppo incentrata su me e mio fratello: passare la mano è stato inevitabile per garantirne il futuro». Questo non significa che i due fratelli resteranno con le mani in mano: «Ci dedicheremo a una piccola azienda che si occupa di farmaci innovativi: la pensione non fa per noi».