Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  gennaio 18 Sabato calendario

L'Ultimo Craxi ricostruito da Andrea Spiri

La Medina, il canto di un muezzin che invita alla preghiera, il saluto dei pescatori, lo sguardo rivolto verso il mare.

Le giornate di Bettino Craxi sono tutte uguali ad Hammamet, scivolano lentamente tra rabbia, speranza e rassegnazione.

L’icona di un vecchio sistema di potere sfugge al malessere che gli procura la mutata condizione esistenziale tenendosi occupato il più possibile. Nuovi lavori e singolari passatempi, ma soprattutto la stesura di un diario che serve a riannodare i fili della memoria.

L’Ultimo Craxi, Diari da Hammamet di Andrea Spiri (Baldini & Castoldi) scava nell’intimo dei pensieri dell’ex presidente del Consiglio, restituendone la spiritualità. Lettera43.it ne pubblica un estratto.

La copertina di L’ultimo Craxi di Andrea Spiri. Il 18 gennaio 2010, l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, scrisse una lettera alla signora Anna Craxi, vedova di Bettino, ponendo l’accento sull’«epilogo, il cui ricordo è ancora motivo di turbamento, della malattia e della morte in solitudine, lontano dall’Italia», dell’ex primo ministro socialista. «La considerazione complessiva della sua figura di leader politico e di uomo di governo», aggiunse, «non può venir sacrificata al solo discorso sulle responsabilità sanzionate per via giudiziaria, il nostro Stato democratico non può consentirsi distorsioni e rimozioni del genere». Furono parole importanti, quelle di Napolitano, pronunciate in occasione del decennale della scomparsa di Bettino Craxi. E da qui conviene ripartire, trascorsi altri due lustri.

LEGGI ANCHE: Per capire Craxi bisogna conoscerne gli errori

In questi 20 anni, intorno alla figura dell’uomo sepolto ad Hammamet si è combattuta in Italia una «guerra civile»: ci si è ritrovati su fronti opposti, assecondando da un lato la damnatio memoriae e indulgendo dall’altro alla pratica della riabilitazione. Additato con malanimo, oppure osannato come l’ultimo statista del Novecento, egli resta il personaggio più controverso della vicenda repubblicana, l’unico che suscita entusiasmi e risentimenti di portata così emozionale da travalicare il piano della politica. La dinamica si amplifica nell’era dei social, insulti e lodi si rincorrono sgomitando, a dimostrazione che non sempre il trascorrere del tempo riesce a sedimentare le passioni. Siamo così ancora fermi al punto di partenza, alle riflessioni amare formulate dallo studioso Giuseppe Tamburrano – «Mai in Italia un uomo politico e di Stato era passato così rapidamente dal servo encomio al codardo oltraggio» – che trovano punti di convergenza nell’analisi dall’accezione negativa di Giorgio Bocca, secondo il quale «la parabola umana e politica di Craxi è seconda solo a quella di Benito Mussolini, pure lui socialista, anche se può apparirne come la parodia». 

LEGGI ANCHE: Cari ex compagni, è il momento di riabilitare Craxi

Certo, gli storici continuano a interrogarsi, a esaminare il contesto, a fare luce su intuizioni e demeriti: l’impegno scientifico ha già rotto gli argini della «memoria maledetta» e offerto piena collocazione nella biografia politica nazionale, tenendo spesso a bada la tentazione di ridurre un lungo percorso al suo traumatico sbocco conclusivo. 

Eppure, affidare il giudizio al distacco della Storia si rivela tuttora operazione complicata: il «caso Craxi» è ancora aperto, resta il nervo scoperto della Repubblica, il riflesso della «cattiva coscienza» italiana che ha forse preteso di immergersi con fare sbrigativo in un lavacro generale da cui si è tentato poi di uscire con nuovi connotati, in un clima di esaltante purificazione, affibbiando il marchio dell’infamia al viaggio senza ritorno di un «fuggitivo». Ma il passato non passa, se non si ha il coraggio di farci i conti, se non lo si analizza fino in fondo, se lo si copre di menzogne. In questo senso, «l’ultimo Craxi» è l’emblema di un passato che continua a inseguire e a interrogare il nostro presente, di una transizione morale e politica incompiuta, di cui ancora oggi fatichiamo a individuare il punto di approdo. 

LEGGI ANCHE:Il 19 gennaio andiamo tutti ad Hammamet

Nell’ottobre del 1999, poche settimane prima che tutto avesse fine, ci si interrogava sulla possibilità di consentire all’ex leader socialista un rientro a fini umanitari, per essere curato in un contesto sanitario appropriato alle gravi condizioni di salute. Nella babele di linguaggi e commenti di allora, fanno riflettere le parole di un giovane editorialista della Stampa, Massimo Franco, che si riferisce a Craxi come fosse «l’ombra grande e insieme fragile e malata di un’altra Italia, vicinissima, anzi incombente, eppure rimossa». È questo il punto, evidente – a chi voleva capirlo – già sul finire del millennio. Il nostro Paese non ha fatto i conti con tutto quello che il politico «decisionista» ha rappresentato, con le sue luci e le sue ombre. L’Italia ha preferito rimuovere il problema, piuttosto che affrontarlo con maturità civile. Restando così nel limbo di un’estenuante e ambigua transizione, nella sospensione del tempo. E Bettino, andandosene in Tunisia, si è trasformato nel «grande alibi di tutti», ma non ha certo facilitato il disegno di rimozione; egli non ha voluto consegnarsi all’oblio, utilizzando i pochi strumenti che gli erano rimasti per combattere una «battaglia di verità». 

«L’ultimo Craxi» non è il «decisore» che ha saputo fornire spinta propulsiva al sistema politico del suo Paese; non è il dominus circondato da folle adulanti (o da «nani e ballerine» rapaci e prepotenti) e nemmeno il leader al crepuscolo inseguito dalla pioggia di monetine scagliategli addosso da una piccola folla di individui ululanti. 

La Medina, il canto di un muezzin che invita alla preghiera, il saluto dei pescatori, lo sguardo rivolto verso il mare, a scrutare l’orizzonte, forse nell’illusione di sentirsi più vicino all’Italia. Le giornate di Bettino sono tutte uguali ad Hammamet, scivolano lentamente tra rabbia, speranza e rassegnazione che si rincorrono quasi fossero tessere impazzite di un mosaico da sistemare. L’icona di un vecchio sistema di potere sfugge al malessere che gli procura la mutata condizione esistenziale tenendosi occupato il più possibile. Nuovi lavori e singolari passatempi, ma soprattutto la stesura di un «diario» che serve a riannodare i fili della memoria, a scavare nell’intimo dei pensieri, restituendone la spiritualità. E a lasciare testimonianza scritta di un grande dolore. 

LEGGI ANCHE: Cari ex Pci, su Craxi continuate a sbagliare

Il Craxi di Hammamet è un uomo che si macera nella solitudine, tra sofferenza e brama di riscatto, disincantato, vinto. Eppure ancora irriducibile, nella dignità dolorosa, travolto dalla passione. Per la Politica, ovviamente, ma soprattutto per la Storia: «Non posso fare altro… ma la battaglia della memoria non gliela faccio vincere». Le articolazioni storiche, però, si muovono lungo traiettorie disallineate rispetto all’esistenza degli individui: è questo il vero dramma che colpisce Bettino, il quale fatica a rassegnarsi all’idea che tutto stia per finire.