ItaliaOggi, 18 gennaio 2020
Orsi & Tori
Esplosione verde e posti di lavoro che saltano? Dipende dai settori. A suonare l’allarme, che ha dato fiato a chi è inspiegabilmente contro la sostenibilità, è stato il report del Nationale Plattform Zukunft der Mobilität (Npm), anticipato dai bravi giornalisti del nostro partner Handelsblatt. Secondo lo studio dell’istituto governativo tedesco l’affermarsi dell’auto elettrica potrà provocare un dimezzamento dei posti di lavoro del settore automobilistico. In numeri, circa 410 mila posti di lavoro in meno entro la fine del decennio. La causa della perdita di posti è semplice e complessa allo stesso tempo: le auto elettriche hanno bisogno di una serie di componenti in meno, dal cambio meccanico ai freni tradizionali, rispetto alle auto a benzina o gasolio. I sindacati tedeschi stanno criticando lo studio e sostengono che questi numeri sono estremi, determinati anche dal fatto che molte auto elettriche dei marchi tedeschi sarebbero prodotte all’estero. Ma Npm è un’istituzione seria, composta da esperti del settore, politici, uomini d’affari e sindacalisti e risponde alla logica tedesca di analizzare il futuro. Si potrà discutere sui numeri, ma non sul fatto che la caduta di posti di lavoro nel settore automobilistico, la spina dorsale dell’industria tedesca, ci sarà. Tanto è vero che il tedesco ministro del Lavoro, il socialista Hubertus Heil, ha spiegato che per attutire il colpo è necessario «puntare sulla riqualificazione per consentire ai lavoratori di oggi di avere l’opportunità di trovare impiego anche nell’industria dell’auto di domani o in settori che l’onda verde offrirà».Non vi è dubbio, infatti, che proprio gli annunciati investimenti di capitali enormi da parte di Larry Fink, ceo di BlackRock, e di Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolo, indicano che ci saranno altri settori nei quali la domanda di personale crescerà magari da zero. Il problema è che chi gestisce gli Stati deve avere previsioni attendibili sui trend della sostenibilità e la capacità di gestire la trasformazione.
Ciò che terrorizza in Italia è che nel Belpaese non esistono né analisti né previsioni e neppure notizie che siano in elaborazione. Per anni i governi italiani hanno avuto un consulente straordinariamente preparato e autorevole nella Banca d’Italia. Ha ricordato Angelo De Mattia, che di Bankitalia è stato ai vertici, che in ogni riunione del Cipe (Comitato interministeriale programmazione economica) il presidente del Comitato dava la parola per primo al governatore o comunque al rappresentante della Banca d’Italia perché delineasse il quadro in cui si inseriva il tema di programmazione economica all’ordine del giorno.
Delle riunioni del Cipe e delle analisi di Bankitalia per anni sono state piene le pagine dei giornali non solo economici (solo due, con il nostro) ma anche politici. Da quanto tempo, cari lettori, non vi capita di leggere resoconti sulle riunioni del Cipe? Da quanto tempo non leggete analisi di Bankitalia che spiegano non soltanto come vanno i tassi, ma che analizzano i vari settori dell’economia del Paese? Eppure, Bankitalia ha perso una funzione decisiva, quella dell’emissione e del governo della moneta passata alla Bce, ha chiuso qualche sede provinciale, ma ha tuttora circa 6.700 dipendenti, fra i quali alcune menti eccelse. Possibile che a nessuno nel governo ma anche nella stessa Bankitalia non sia venuto in mente di dedicare una parte del personale (1.000-1.500 lavoratori) a creare un centro di analisi sul futuro del Paese, perché da almeno dieci anni l’esplosione della tecnologia (di cui anche l’auto elettrica è risultato) sta delineando un futuro che sarà straordinario alla fine del ciclo di profonda trasformazione e di inizio di una fase più ordinaria, ma che nel durante genererà lacrime e sangue.
Mi tocca ricordare qui quali effetti sull’occupazione determinerà lo sviluppo dell’AI, o Intelligenza artificiale che dir si voglia. La previsione più netta è di Kai-Fu Li, il cinese di Taiwan che ha insegnato in Usa, è stato ceo di Google nei due anni in cui il monopolista della ricerca ha deciso di operare in Cina prima di darsela a gambe levate, volontariamente, e non perché cacciato; partito Google, Kai-Fu Li è diventato il pivot dell’Intelligenza artificiale cinese, destinata a essere leader mondiale anche rispetto agli Usa, visto che l’Intelligenza artificiale viene sviluppata e adattata dalla possibilità di avere la maggiore quantità e qualità di Big data e la Cina conta su oltre 1 miliardo di persone dotate di smartphone e quindi produttrici di dati in tutti i settori, mentre gli Usa hanno 300 milioni di abitanti di cui almeno 100 milioni non proprio al centro della vita del Paese per la loro povertà (in Cina sono circa 300 milioni i cittadini in tali condizioni). Bene: Kai-Fu Li, che è a capo di 360 aziende del settore AI attraverso più fondi partecipati dal governo cinese, ha spiegato che a perdere il posto di lavoro non saranno i colletti blu, cioè gli operai, ma principalmente i colletti bianchi; e la sua previsione è che in non moltissimi anni scomparirà nel mondo circa il 40% dei posti di lavoro attuali. Naturalmente ne saranno creati degli altri, anzi a tendere saranno recuperati tutti quelli persi, e i cittadini della terra lavoreranno meno e avranno quindi più tempo libero: ma il durante che si presenterà è drammatico. Specialmente se non ci sarà una consapevolezza sia nei governi che negli imprenditori e negli scienziati di che cosa sta succedendo. Dall’esplosione della bomba atomica a Hiroshima e Nagasaki ci sono state solo minacce di altre esplosioni. L’esplosione verde, per semplificare la sostenibilità, sarà invece inarrestabile perché la coscienza della sua necessità ha pervaso l’animo e il cervello delle nuove generazioni.
In un contesto come questo, è evidente l’impreparazione programmatica dell’Italia. Invece di destinare risorse alla scuola, alla ricerca applicata, nonostante alcune eccellenze come la scienza dell’industria aerospaziale, nonostante eccellenze come Isi, l’istituto torinese leader nel mondo nel Data science guidato dal professor Mario Rasetti, nonostante l’Istituto italiano di tecnologia di Genova e nonostante molte altre cose, come l’industria 4.0 e come il nascente Human technopole nella sede dell’ex Expo, manca qualsiasi analisi globale e programmazione. L’analisi serve a sapere in anticipo e la programmazione a indirizzare lo sviluppo. Bankitalia è stata leader nella costruzione del primo sistema econometrico, che con vari modelli che facevano interagire i dati economici e finanziari permetteva di fare previsioni attendibili sull’andamento dell’economia nel suo complesso e nei vari settori. Fatto nascere dal governatore Guido Carli e realizzato dall’ufficio studi guidato da Paolo Savona, il modello econometrico di Banca d’Italia è stato all’avanguardia in Europa e non solo per molti anni. Ma ora si scopre che Bankitalia non ha ancora una unità Big data, ma si riesce a sapere che stanno studiando come organizzarla.
Il governatore Ignazio Visco è un uomo di grande valore e ha fatto tutta la sua carriera all’ufficio studi, quindi ha sia la sensibilità che la preparazione per comprendere che Bankitalia deve recuperare, fra l’altro non essendoci significative alternative, il centro quantomeno di analisi, che possa consentire all’Italia di non continuare a viaggiare a fari spenti nella rivoluzione in atto per la profonda evoluzione della tecnologia digitale.
Il 2020 è l’anno di Marte; l’Italia è ai massimi livelli nell’industria aerospaziale; possibile che non si creino le condizioni perché ci siano analisi, previsioni, avvisi, soluzioni come quelle determinate dalle predizioni dell’istituto tedesco Npm (ma è solo un esempio)?
Chi fa Data science parla giustamente di predizioni, mostrando, esponendo i risultati dell’analisi. E le predizioni possibili con il Big data sono possibili in qualsiasi campo. Come dice il professor Rasetti, il globo e i suoi abitanti nel 2017 hanno prodotto una quantità di dati pari a quelli prodotti dall’Umanità in tutta la sua storia. Da allora ogni anno si va al raddoppio con il 5G che praticamente (con l’Internet delle cose) consentirà di raccogliere dati non più soltanto dagli smartphone e dal loro uso, ma da tutto quanto, dagli elettrodomestici ai movimenti del cane di famiglia, con un sensore collegato. Ci vorranno computer sempre più potenti per analizzare tutti questi dati e comprendere da essi dove l’Umanità sta andando. Sempre a giudizio del professor Rasetti, i mega computer saranno prodotti soprattutto in Cina, dove già sono attivi, e marginalmente in Corea del Sud. Gli Usa stanno rincorrendo. L’aver abbandonato la produzione dei piccoli e medi computer, come ha fatto Ibm, ha dato alla Cina la base per partire e il vantaggio demografico di una popolazione di 1,5 miliardi sta appunto favorendo lo sfruttamento massimo del Data science, che come detto ha un riflesso diretto sull’evoluzione dell’Intelligenza artificiale.
Grazie alla joint venture con Xinhua news agency, il più grande gruppo multimediale cinese posseduto dallo Stato, Class Cnbc sta mandando in onda notizie della Cina lette dai vari Avatar creati dal centro di ricerca del gruppo cinese. In tutto e per tutto, per le sembianze, per i movimenti delle mani e del corpo, sono identici agli anchor che sostituiscono.
Di fronte a questa realtà, si comprende come il grande capitale di BlackRock e Intesa Sanpaolo si diriga verso aziende e settori che privilegiano la sostenibilità che dal digitale, dal Data science, dalla conoscenza e dalla predizione che il Big data determina hanno tutto da guadagnare. Ricerca, scienza, predizione, sostenibilità, protezione del pianeta, esplorazione dello spazio a 50 anni dal primo uomo sulla Luna, sono strettamente connesse. Chi ha capito per primo in Italia l’importanza di avere a Torino un istituto di Data science come quello guidato dal professor Rasetti è il ceo di Intesa Sanpaolo, Messina, che non a caso, in stretta connessione con BlackRock, ha spiazzato il mercato annunciando che sono pronti a investire nella sostenibilità ben 50 miliardi. Bravo Dottor Messina. Speriamo che altri seguano il suo esempio e speriamo, soprattutto, che a Palazzo Chigi e in Via XX Settembre (il ministero dell’Economia) si comprenda la necessità di dotare l’Italia di un centro di analisi e programmazione. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, auspicando e predicendo che questo governo finisca la legislatura, deve farsene carico. Altrettanto il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, che da storico della stessa economia sa bene come un Paese non possa viaggiare a fari spenti mentre siamo entrati in una nuova Era, come dice il presidente cinese Xi Jinping.
P.S. Fra le novità che porta l’affermarsi del principio di sostenibilità c’è quella, decisiva per gli investimenti, di evitare che la parola sostenibilità sia pura propaganda. Così come per verificare l’affidabilità economico-finanziaria delle società e degli Stati da tempo, è affermato lo strumento del rating assegnato da agenzie indipendenti, ora è indispensabile, per chi investe ma per l’opinione pubblica in generale, che ci sia un rating sulla sostenibilità. È ben dal 2004 che partendo da Londra, Standard Ethics ha anticipato questa esigenza. Standard Ethics è la prima in assoluto in questo settore. Standard Ethics ha già rilasciato molti rating sollecitati e non sollecitati ad aziende e Stati. Oggi la domanda si è impennata. Per gli investitori e l’opinione pubblica in generale è già un fondamentale riferimento.