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 2020  gennaio 18 Sabato calendario

Così i Paesi balcanici perforano l’Adriatico

I giacimenti non hanno confine. L’Energean sta lavorando con il governo del Montenegro per cercare giacimenti di metano o di greggio sotto il fondale dell’Adriatico al largo delle Bocche di Cattaro, cioè in faccia a Bari e a Polignano. Ovviamente basterà perforare a un passo dal confine immaginario che taglia a metà il mare per aspirare alla superficie anche le risorse che stanno dalla parte italiana ma che l’Italia non vuole sfruttare. 
La Grecia sta studiando se sfruttare il giacimento Fortuna che dovrebbe trovarsi nel mare Ionio al largo di Cefalonia e Corfù a ridosso del Salento. Anche in questo caso, basterà perforare a fianco della linea amministrativa che separa il mare greco dal mare pugliese per estrarre in modo indistinto le risorse comuni che l’Italia preferisce importare.
L’Albania ha programmi simili, e in questo caso poche settimane fa si era fatta avanti una compagnia che al contrario deve ridimensionarsi nella parte italiana dell’Adriatico: l’Eni. A fine dicembre la compagnia di San Donato Milanese – che è costretta a fare marcia indietro su molti investimenti nel mare italiano – ha stipulato un accordo con il governo di Tirana.
Accade anche in Bosnia: il governo di Sarajevo ha bandito in autunno una gara per assegnare la ricerca di giacimenti in quattro blocchi, due minuscoli al confine con la Croazia, uno più ampio nel nord-est del Paese e un blocco assai ampio pari a 3.237 chilometri quadri nella regione dell’Erzegovina fra Mostar e l’Adriatico.
La Croazia ha bandito gare per assegnare aree di ricerca. La Slovenia è interessata a sfruttare le risorse in Adriatico. 
I geologi dicono che sotto il fondo dell’Adriatico e dello Ionio, ma anche nel mare sardo al largo dell’Asinara, potrebbero nascondersi risorse energetiche impressionanti. Dicono che è lo stesso “tema” geologico che si riscontra nel Mediterraneo orientale davanti all’Egitto (il giacimento Zohr) o di fronte alle coste israeliane (il complesso Leviathan).
Qualche dettaglio sui casi del Montenegro e dell’Albania, i più recenti.
Nelle settimane scorse il Montenegro ha concordato con l’Energean – una compagnia anglo-israeliana che ha appena rilevato alcune attività petrolifere della milanese Edison – permessi per cercare giacimenti in un’area di 338 chilometri quadri di mare. Privo di risorse nazionali, il Paese balcanico intende ridurre l’importazione di energia e preferisce sfruttare ciò che è già dentro i confini nazionali. Non a caso il governo di Podgorica aveva firmato tre anni fa un accordo simile con l’Eni e con la russa Novatek per cercare giacimenti in un’area di 1.228 chilometri quadri.
In contemporanea, poche settimane fa alla presenza del primo ministro albanese Edi Rama l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, aveva firmato con Belinda Balluku (Infrastrutture ed Energia) l’accordo per i giacimenti nella zona di Dumrea, nell’entroterra albanese a una quarantina di chilometri a sud di Tirana nella zona di Elbasan. L’area in cui cercare i giacimenti è di 587 chilometri quadri.
E l’Italia preferisce importare quelle risorse via petroliera o via metanodotto. Mentre il Tap sta cominciando a posare la conduttura fra il Salento e l’Albania per fare arrivare il gas dall’Azerbaijan, nel frattempo il governo nella manovra finanziaria approvata poche settimane fa ha deciso di introdurre una specie di Imu sulle piattaforme petrolifere mentre un anno fa il Governo Conte-1 aveva deciso una moratoria di 18 mesi su tutti i progetti. 
Intanto per la riduzione delle commesse petrolifere in Italia la multinazionale di ingegneria Schlumberger ha deciso di licenziare il personale italiano, di chiudere la filiale di Ravenna e di trasferirne all’estero le attività.