Corriere della Sera, 18 gennaio 2020
Manipolatività, un cruciale neologismo
Nel comunicato stampa diffuso due giorni fa la Corte costituzionale ha scritto che il quesito referendario sulla legge elettorale è «inammissibile per l’assorbente ragione dell’eccessiva manipolati-vità» di una sua parte. Manipolatività. Un neo-logismo relativo, visto che la parola circola almeno dai primi anni Duemila; di sicuro un tecnicismo set-toriale. Intanto, perché la lingua giuridica ha sempre fatto largo uso di questo tipo di astratti, che sembrano garantire un livello formale e un raggio d’azione generale: da legittimità a irreclamabili-tà, da punibilità a impre-scrittibilità. Poi, perché tutta la (breve) storia della parola si è svolta in questo ambito. E lo stesso vale per l’aggettivo da cui è ricava-ta: manipolativo, che si trova già dalla fine del secolo scorso in contesti analoghi (come appunto: «L’uso manipolativo del referendum»). Fin dall’Ottocento, il verbo manipolare è usato – oltre che nel senso di impastare, lavorare un materiale con le mani – anche con il significato di alterare, contraffare, falsificare; alla base c’è l’idea di maneggiare qualcosa per ottenere un certo intento. Manipolare deriva a sua volta dal manipolo, originaria-mente inteso come una manciata di qualcosa (di lì anche il significato milita-re, che ancora risuonava nella mussoliniana mi-naccia di fare del Parla-mento «un bivacco di manipoli»). La radice etimologica di queste pa-role è, insomma, la mano che modifica le cose. Ma se manina c’è stata, è stata un po’ pesante.