la Repubblica, 17 gennaio 2020
Record a Broadway per West Side Story
“Qui c’è gente bianca, nera e mista. Siamo nel 2020, lo sapevate?”. Non era ancora il 2020 quando il Broadway Theatre, sulla 53ª strada, ha aperto le porte al revival di West Side Story, un Romeo e Giulietta caduto nell’Upper West Side multietnico, con due fazioni rivali – Sharks e Jets – e un amore proibito, quello tra Tony e Maria. Gli Sharks sono di origine latina e si muovono a passi di danza afro-caraibica; i Jets amano house e hip-hop, pochi bianchi, a differenza delle passate edizioni. In attesa del debutto ufficiale il 20 febbraio – la data è slittata per vari infortuni ai ballerini – le preview hanno fatto registrare un record assoluto per il Broadway Theatre: 1,8 milioni di dollari di incasso in otto giorni. Nell’ultima settimana del 2019 le anteprime di West Side Story, insieme a Beetlejuice e altri show, hanno totalizzato la cifra record di 55 milioni di dollari. In produzione spuntano pure i biopic di Michael Jackson e Bob Dylan. Ora non resta che vedere se a conquistare i cuori dei giovani sarà il West Side Story del regista belga Ivo van Hove – l’ultimo a collaborare con David Bowie per il musical Lazarus — o il blockbuster su cui Steven Spielberg sta lavorando da anni e che arriverà in sala il 18 dicembre 2020. «Questa storia, in tutte le sue trasposizioni (dagli anni Ottanta al 2009, ndr), è un manifesto per i giovani. Un colosso del Ventunesimo secolo», racconta Van Hove mentre parla dell’opera come di un inno alla città. «Con New York ho un rapporto strano. Un tempo mi davano dell’eurotrash». Ora che il musical ha una certa età, «siamo passati dagli anni Cinquanta al presente. Oggi viviamo in un mondo diviso dall’odio, come quello degli Sharks, capitanati da Bernardo, contro i Jets, la gang guidata da Riff».
West Side Story ha debuttato nel ’57 accompagnato dalle musiche di Leonard Bernstein, i testi di Stephen Sondheim e lo script di Arthur Laurents. L’adattamento cinematografico, diretto nel ’61 da Robert Wise e dal coreografo Jerome Robbins, vantava Natalie Wood e Richard Beymer nel cast. Dieci Oscar (primato per un musical) tra cui miglior film; George Chakiris e la portoricana Rita Moreno migliori attori non protagonisti. Van Hove non solo ha diretto Uno sguardo dal ponte (Tony Award) e Network (in Italia la storia al cinema diventò Quinto potere) con Bryan Cranston, ma ha affidato la sua carriera allo scenografo di fiducia nonché compagno, Jan Versweyveld, e alla Toneelgroep, la compagnia di repertorio di Amsterdam. Ha portato Angels in America di Tony Kushner dentro un teatro spoglio e adattato Teorema di Pasolini su un’ex isola selvaggia di New York, Governors Island.
Tony e Maria (Isaac Powell e Shereen Pimentel) sorridono sfiancati dalla giornata di prove: «In questa compagnia teatrale quello che conta è toccare l’estremo. Ad ogni costo ». La coreografa è Anne Teresa De Keersmaeker, che tratta i movimenti come una jam session di corpi (23 giovanissimi, tutti debuttanti). Restano i brani originali, da Something’s coming a Maria, con l’eccezione di Feel Pretty e Somewhere (lo stesso Sondheim non ne andava pazzo). Scattano le scene di lotta. Il sangue cola sui fisici palestrati dei performer. Gli Sharks usano un gergo afro-cubano e afro-portoricano, miscelando salsa e danza di strada nei vari numeri. «Vogliamo rendere questa versione più metropolitana, fisica e iperrealista», spiega Ricky Ubeda che interpreta Indio. I set sono incastrati uno nell’altro: dal negozio di abiti da sposa, dove lavorano Maria e Anita, si sfila la casa con le mitiche scale antincendio e i due ragazzi protagonisti che si giurano amore eterno ( Tonight). I personaggi hanno in mano iPhone e steadicam per riprendersi tra loro e trasmettere in diretta le immagini. Pilotano luci, si lanciano in passi da capogiro. A un certo punto i Jets sparano un segnale in aria, nel cielo di quel pantheon chiamato Broadway. Come per dire: “Un nuovo musical è arrivato in città. E siamo qui per restare”.