ItaliaOggi, 16 gennaio 2020
Federico Fellini, il politico
Federico Fellini nasceva a Rimini il 20 gennaio 1920. E a Rimini è sepolto (è deceduto il 31 ottobre 1993 a Roma). Ovvio che la città romagnola dedichi questo anno-centenario al grande regista, si incomincia con una mostra a Castel Sismondo, mentre a Roma una rassegna è ospitata alla Biblioteca Angelica.Fellini si mise per la prima volta dietro la macchina da presa nel 1952 con Lo sceicco bianco e l’ultima nel 1990 con La voce della luna. Fu struggente con La strada e Le notti di Cabiria, disvelatore dei meandri sociali con La dolce vita e 8 e mezzo, visionario con Amarcord.
Milano lo ricorderà il giorno della nascita con una giornata-convegno a Palazzo Reale (e con una mostra, sempre a Palazzo Reale, dal 17 settembre). Ci saranno critici cinematografici, fumettisti, poeti, psicanalisti.
Ma c’è pure un Fellini politico, che si tende a tralasciare e che vale la pena invece raccontare. Anche perché è più attuale che mai, ci riferiamo in particolare a una pellicola (un «corto», 70 minuti) che potrebbe essere stata girata oggi. Si intitola Prova d’orchestra.
Alla fine degli anni 70 la politica italiana era quasi nel caos: la Dc stava perdendo la sua centralità, Bettino Craxi incominciava la sua marcia governativa accettando di entrare in un litigioso governo pentapartito (oltre a Dc e Psi c’erano Psdi, Pri e Pli), il terrorismo nero e rosso insanguinava le strade, il compromesso storico ipotizzato da Aldo Moro (che pagò questo progetto con la vita) terremotava i rapporti tra i partiti, incominciava a farsi sentire la crisi economica, inevitabile risvolto di quella politica.
Tra i pochi che cercavano di tenere dritta la barra (proponendo una programmazione economica, base di una solidarietà politica) vi era Ugo La Malfa, segretario del minuscolo Partito Repubblicano, che all’indomani dell’assassinio di Aldo Moro, preoccupato per la deriva verso cui stava scivolando il Paese, incontrò Federico Fellini (il nocciolo duro elettorale del Pri era la Romagna, la terra del regista, il cui padre era repubblicano) e nacque (nel 1979) l’idea di un «corto» che indicasse il pericolo di questa situazione. Fellini scrisse anche il soggetto e la sceneggiatura (insieme a Brunello Rondi), chiese ai suoi storici collaboratori (Nino Rota per le musiche, e saranno le ultime prima della sua morte, e a Dante Ferretti per la scenografia) di aiutarlo.
La Malfa utilizzò la pellicola in campagna elettorale, le sezioni del Pri organizzarono proiezioni. L’iniziativa non portò voti ma il critico cinematografico del Messaggero, Costanzo Costantini, scrisse: «Il Fellini sognatore, visionario, narcisista inguaribile, instancabile raccontatore di sé, avverso a ogni forma di impegno, è uscito dal proprio ego per dare uno sguardo fuori, alla realtà che ci circonda, mettendoci sotto gli occhi un’immagine inquietante dell’Italia odierna».
In questa orchestra felliniana ogni strumentista va per suo conto, il direttore d’orchestra viene sbeffeggiato a colpi di slogan populisti e sessantottini: la musica al potere, no al potere della musica.
I musicisti si ritrovano gli uni contro gli altri, finché un’enorme palla distrugge una parte della sala. Lo scenario è apocalittico, col direttore incapace di dirigere e gli orchestrali disuniti.
La pellicola non dà speranza, il messaggio di Fellini-La Malfa è chiaro: se ogni partito di governo va per la sua strada, se non c’è coesione e solidarietà, il Paese è destinato a un infelice futuro. Che è poi quanto si è verificato. Non a caso Giorgio Strehler scrisse sul Corriere della Sera: «Un film amaro, direi disperato e inquietante apologo, questo di Fellini, che non può che lasciare sgomento chi si pone qualche domanda sul mondo in cui viviamo, sulla qualità di questa Prova d’orchestra che è nostra, che è di tutti i giorni». E Andrea Minuz, che ha dedicato un libro al regista, dice: «Quella palla d’acciaio che si abbatte sulla sala nel finale del film rappresenta il sempiterno ruolo catartico delle tragedie nazionali, è come un unico e isolato richiamo all’unità di un Paese diviso su tutto, sfibrato nella sua rissosità quotidiana, e che soltanto tra le macerie ritrova per un attimo la sua propulsione collettiva».
Fu Giorgio Bogi, parlamentare, stretto collaboratore di La Malfa, membro della Commissione di vigilanza sulla Rai, a convincere l’emittente pubblica a produrre il mini-film, mettendo sul piatto però un budget assai limitato, anche per questo non compaiono attori professionisti e il tutto fu realizzato in un mese. Chissà se la Rai si ricorderà di quest’opera e la riproporrà.
Prova d’orchestra face scoprire uno sconosciuto Fellini esplicitamente politico. Certo, i suoi film-capolavoro sono altri, ma a un certo punto lui ha accondisceso ad affrontare di petto le tematiche politiche di quel tempo che sono anche, purtroppo, quelle di oggi: i pericoli, i rischi della società se diventa preda di incertezza, paura, sfiducia nel futuro. In un’intervista disse: «Avevo altri progetti, non era urgente. Non corrispondeva a un bisogno. A un certo punto il bisogno l’ho sentito, quando hanno ammazzato Moro. Mi fece un’impressione enorme… Che era successo a tutti noi che viviamo in questo Paese? Perché eravamo ridotti a questo punto?».
Fellini (per sua ammissione) votò Pri, ma anche Psi e una sola volta, nel 1976, Dc (seguendo l’invito di Indro Montanelli a «turarsi il naso»). Tenne un epistolario con Giulio Andreotti e partecipò al picchetto d’onore dei funerali di Luigi Berlinguer. Nel 1992 il figlio di Ugo La Malfa, Giorgio, diventato segretario del Pri, gli chiese di presenziare a una convention del partito. Il regista mandò un videoclip: «Il segretario mi ha chiesto di dargli il benvenuto e io non ho potuto dire di no, nel ricordo del padre Ugo. Un uomo che ricorda la probità di un’Italia scomparsa, la probità di un professore di liceo che tentava di vincere la mia estraneità, la mia allergia alla politica. Questa volta invece di dire le solite scuse, che ero a Tokyo per un festival, o chissà dove, ho accettato. Perché la classe politica sembra stanca perfino di resistere, perché la situazione mi sembra immobile e stagnante, perché vorrei che l’Italia fosse affidata a uomini garbati…».
Come i migliori artisti, Fellini riusciva a guardare e a immaginare il futuro. A modo suo è stato un regista (anche) politico. In fondo tra la Dolce vita e Prova d’orchestra c’è a ben vedere una continuità di messaggio impressionante.