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 2020  gennaio 16 Giovedì calendario

Il buco nero della Tim chiamato «errore generico»

Si chiama il 187, il numero della Tim (già Telecom) che quelli come me compongono più spesso del numero dei propri cari, per segnalare un guasto. Stavolta non è il solito balletto della linea Adsl, che tanto mi ha tenuta impegnata (vedi Fatto del 25 febbraio 2016) e che non si è mai risolto del tutto, nonostante la solerzia dell’azienda nel contattarmi post scriptum e dunque non in quanto utente, cosa che ero già prima, ma in quanto utente iscritta all’Ordine, e nonostante i ripetuti interventi di un tecnico che ha ogni volta fatto il possibile, consistendo l’impossibile nella riparazione totale delle infrastrutture e dei cavi sotterranei dentro cui viaggiano i dati che connettono il mio quartiere alla periferia di Roma al resto del mondo. Stavolta si tratta di un guaio che mi sono cercata, avendo appreso che la promozione associata al mio numero di casa non è più attiva (mastico il gergo dei promoter della compagnia, essendo la fluidificazione delle mie telecomunicazioni a tutti gli effetti un mio secondo lavoro). Succede che spesso, allettati dagli operatori dei call-center che vogliono farci risparmiare sulla bolletta, accettiamo di sottoscrivere un contratto per una qualche promozione (dobbiamo rispondere “sì” a tutte le domande, scandendo bene le lettere: questa lallazione primordiale è il sostituto di una firma) che per una sorta di sua consustanziale obsolescenza a un certo punto arbitrariamente decade, e automaticamente, senza che l’azienda ci avvisi, dà luogo a un aumento dei prezzi anche del 100%, del resto visibile in bolletta sotto voci laconiche o misteriose o addirittura accattivanti, come sigle, slogan, numeretti, giochi di parole. A questo punto il capitalismo smart dei Ceo, dei supermanager, della fibra ottica, del 5G e dell’Internet delle cose esige che sia tu utente a controllare l’essere attiva della tua promozione, ovvero a preoccuparti di comunicare all’azienda che vuoi passare ad altra. Cioè: nel flusso della propria vicenda biologica, emotiva, intellettuale, professionale e sanitaria l’essere umano connesso deve prevedere uno slot dedicato alla cura e all’aggiornamento delle tariffe che paga per i servizi erogatigli, e questo vale per il telefono fisso e il mobile, la luce e il gas, le chiavette Internet e gli abbonamenti alle Tv satellitari, la carta di credito e tutti gli altri artigli con cui la burocrazia neo-liberista ci tiene arpionati all’idea di uno stile di vita tutto sommato privilegiato.
Si dà il caso che io, presa da cose futili come sopravvivere, non mi ero accorta che l’offerta era scaduta, finché non ho interpellato esperti di geroglifici, lettori di bollette esoteriche e, da ultimo, la mia vicina di casa, e ho capito che stavo pagando il doppio di quanto pagano gli altri. Da qui: richiesta al 187 di cambiare tariffa, accettazione della richiesta, attesa. Oh, misera letizia dell’individuo la cui pace è legata alle promozioni! Specie se pochi giorni dopo si viene informati che un “errore generico” sulla linea impedisce il cambio.
Non mento se dico che la voce “errore generico” applicata allo status della mia linea mi provoca un brivido metafisico (“credo che si sia dimenticato fino a che punto il telefono sia parte della nostra vita psichica”, Giorgio Manganelli). La situazione è insanabile, non si va né avanti né indietro. Il gentile operatore spiega che ha segnalato l’intoppo e attende una risposta, si suppone dai piani alti. Immagino un decisore ultimo, un risolutore di errori generici deputato a sbloccare i casi ostici come il mio, una specie di Klamm, l’inafferrabile funzionario del Castello di Kafka, da cui dipende la mia sorte telefonica. Indagando sull’errore generico mi imbatto in spiegazioni che sfiorano la leggenda se non la teologia: forse hai un numero VoiP attivo sulla tua linea (eh?); forse non hai restituito un telefono a Telecom; forse non hai registrato il codice fiscale e dunque sei sconosciuto a Tim, che però ti manda le bollette (tra l’altro, fino a che il Consiglio di Stato non glielo ha impedito, come altri operatori furbi le mandava ogni 28 giorni invece che 30, così che in un anno erano 13 invece che 12: perciò si ha diritto a chiedere un rimborso).
In concomitanza temporale (non voglio pensare in rapporto causale) con l’ennesimo sollecito, smette di funzionare la linea telefonica. Morta, isolata. Nella cornetta si sente uno spaventoso silenzio che costringe a sua volta all’afonia; sarà crollata la centralina? Gli animali del sottosuolo avranno rosicchiato i cavi?
Non demordo. Cambio i filtri Adsl (sono addestrata ad anticipare ogni obiezione dell’operatore), Adsl che viaggia a 3 Megabyte dei 20 promessi (con la subdola formula del “fino a”), fenomeno che tutti i tecnici sopraggiunti negli anni imputano alla distanza dalla centralina, motivo per cui consigliano di spostare la postazione di lavoro dove il filo entra in casa, o ancora meglio accanto alla porta, e perché non sul pianerottolo, o presso la cassetta nell’atrio del palazzo? La butto lì: chiedo a Tim se mi concede una piccola nicchia dentro la centralina di zona, così, tanto per provare l’ebbrezza futuristica dei 20 MegaByte.
Ancora niente. Apro un reclamo; un Sms avvisa che il guasto sarà riparato entro 48 ore; vari Sms informano che Tim ha provato a contattarmi ma non ci è riuscita (che abbia chiamato sul telefono fisso, che non funziona?); squilletti a vuoto sul cellulare; un disco preregistrato del 187, richiamato, dice che la segnalazione è già aperta; messaggi certificano il tautologico, ossia che il principale fornitore di servizi nel Sistema Pubblico di Connettività non riesce a contattarmi (che sia colpa mia?); un Sms informa che il guasto è risolto, evviva!, e però non è vero: la linea è ancora isolata; si chiama allora un numero verde: l’operatrice dice che non può essere aperta un’altra segnalazione.
Si ipotizza che Tim non abbia voglia di investire sulla fatiscente Adsl, da cui comunque ricava un guadagno, e lasci marcire le linee del telefono. Mentre poco distante si fanno i lavori per la mitologica fibra (velocità 1 Gigabyte, 1000 MB al secondo!), e tutto il Paese che conta è in piena esaltazione da 5G (20 Gbps!) grazie al quale i chirurghi degli spot fanno operazioni a cuore aperto a distanza, e i direttori d’orchestra di prestigio internazionale testimoniano quanto Tim sia un’azienda proiettata nel futuro e insieme attenta al passato, io per massima ironia della sorte mi ritrovo addirittura senza telefono, nella condizione in cui si trovavano i miei compatrioti pre-1967, quando bisognava scendere al Posto di Telefonia Pubblica e chiedere al centralinista di inoltrare la telefonata, e però funzionava.