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 2020  gennaio 16 Giovedì calendario

L’intervista a Neil Gershenfeld

Se c’è una cosa che non passa inosservata entrando nell’ufficio di Neil Gershenfeld è il suo amore per i Lego. Li si trova ovunque: mensole, scrivania, pavimento. Per il direttore del Center for bits and atoms, avveniristico laboratorio del Massachusetts institute of technology (Mit) che esplora i confini tra informatica e scienze fisiche, i mattoncini colorati non sono solo un vezzo: incarnano la perfezione. Il materiale ideale verso cui tende tutta la sua ricerca e che lo porta a una conclusione: le stampanti 3D vanno superate.
«Non mi piacciono», sentenzia Gershenfeld smontando in un batter d’occhio un mito che lui stesso ha contribuito a creare. Una parabola iniziata nel 1998 con un corso dedicato agli studenti del Mit intitolato “Come fabbricare (quasi) qualsiasi cosa”.
«L’obiettivo era insegnare come funzionavano le nuove e complesse macchine impiegate per le nostre ricerche – racconta – Ma il successo è stato strepitoso: i ragazzi hanno iniziato a sfruttare i macchinari da soli per produrre ogni genere di oggetto». Così è nata l’idea dei fab lab, abbreviazione che sta per fabrication laboratory: piccoli laboratori oggi diffusi in tutto il mondo dedicati alla fabbricazione digitale, cioè la creazione di oggetti solidi e tridimensionali partendo da disegni digitali. Un risultato raggiunto tramite l’impiego di differenti tecniche. Tra le preferite dai cosiddetti maker, i nuovi artigiani hi-tech, c’è la stampa 3D. Gershenfeld non ne nega l’utilità. Del resto, le stampanti 3D hanno consentito di creare riproduzioni tridimensionali di organi e tessuti umani fondamentali per la ricerca medica. Ma non condivide l’entusiasmo di chi vorrebbe farne dei nuovi personal computer, da portare su ogni scrivania. Le ragioni le spiega proiettando sulla parete di fronte a noi l’immagine di un bambino che gioca con i Lego: «Compariamo ciò che è possibile fare con dei mattoncini con le opportunità offerte da una stampante 3D – dice – La prima fondamentale differenza è che con i Lego possiamo costruire qualcosa più grande di noi, mentre nel caso della stampa 3D la geometria è dettata dalle dimensioni della macchina. In secondo luogo, abbiamo l’opportunità di individuare e correggere gli errori durante la fase di montaggio nonché di utilizzare mattoncini di materiali diversi. Infine, contrariamente ai prodotti stampati in 3D, i Lego non finiscono mai nella spazzatura, ma vengono smontati e rimontati all’infinito».
Smontaggio e assemblaggio, secondo Gershenfeld, sono due concetti chiave intorno a cui ruoterà la terza rivoluzione digitale. «Nei passati cinquant’anni la nostra vita è stata profondamente trasformata da due rivoluzioni che hanno riguardato la comunicazione e l’informatica. Ora tocca alla fabbricazione: il mondo fisico e quello digitale devono convergere. Per riuscirci è necessario ispirarsi alla biologia e rendere programmabile la materia».
Un passo in questa direzione è stato compiuto grazie a due invenzioni che lo scienziato ha mostrato sul palco di Science in the age of experience, conferenza organizzata da Dassault Systèmes, azienda leader nella progettazione in 3D. Una si compone di cinque minuscole parti che possono essere assemblate in una serie di differenti dispositivi funzionanti, incluso un mini motore in grado di far muovere le parti. L’altra è un robot capace di costruire strutture complesse partendo da dei piccoli identici pezzi. Macchine che costruiscono altre macchine, il cui «obiettivo ultimo – conclude Neil Gershenfeld – è la realizzazione del replicatore, la tecnologia immaginata nella serie tv Star Trek che può riprodurre qualsiasi cosa, persino se stessa».