la Repubblica, 16 gennaio 2020
Le librerie alla guerra degli sconti
La mazzata più pesante, a Torino. Dove la libreria Paravia, la seconda più antica d’Italia, ha chiuso il 28 dicembre 2019 per le ferie. Ma poi non ha più riaperto. Dopo quasi 198 anni. Sonia Calarco, una delle due titolari, punta il dito soprattutto contro Amazon. «Che prima ha attirato i clienti con sconti esagerati, perché in Italia manca una legge che tuteli i librai, e poi li ha abituati ad avere i prodotti a casa in tempi rapidissimi e con un assortimento incredibile», ha detto alla nostra Federica Cravero. Non meno dolorosa, tuttavia, l’altra mazzata di questo inizio 2020 a Quartu Sant’Elena, 70 mila abitanti alle porte di Cagliari. Lì ha chiuso Car.li, «l’ultima vera libreria rimasta in città», come ha denunciato il consigliere comunale Francesco Piludu annunciando di voler sollevare il caso al municipio. E non resta che augurare buona fortuna, a lui e ai librai.
Perché ce ne vuole davvero tanta per combattere quella che sembra una battaglia contro i mulini a vento. Le librerie indipendenti non devono vedersela soltanto con Amazon, ma con un sistema per cui le grandi catene, oltre naturalmente ad Amazon, impongono sconti del 15 per cento anche prima ancora dell’uscita del libro: condizioni insostenibili per i piccoli esercizi che possono seguire questa strada soltanto riducendo i margini all’osso. Ma così soffocano. «Oltre a dimezzare i nostri profitti, quegli sconti hanno anche il micidiale effetto psicologico di far pensare che i prezzi dei libri non siano quelli scritti», dice Marco Guerra di Pagina 348, libreria indipendente nel quartiere dell’Eur, a Roma. Che da anni, ormai, si ostina a resistere: «Le provo tutte. Presentazioni dei libri con prenotazione del posto, iniziative collaterali… Anche la tessera fedeltà, che dà diritto a un bonus di 10 euro per ogni 100 euro di libri acquistati. E perfino allungato l’orario di apertura. La passione e la voglia non mancano, ma siamo coscienti di essere su un piano inclinato…».
I risultati sono nelle cifre che dà il presidente dei librai aderenti alla Confcommercio Paolo Ambrosini, secondo cui fra il 2012 e il 2017 sono scomparsi in Italia 2.332 punti vendita di libri, comprendendo moltissime cartolibrerie che tengono accesa la fiammella della lettura nelle aree meno servite e disagiate. Con un risvolto, come abbiamo già raccontato un mese fa su queste colonne, che non può non rappresentare un problema per la stessa democrazia. Cioè quella di lasciare 13 milioni di persone senza la possibilità di comprare un libro a meno di non ricorrere a internet. E quando succede nei Comuni italiani senza più neppure l’edicola, significa privare gli strati deboli di una comunità sempre più anziana della possibilità di informarsi, approfondire le notizie, accrescere la cultura, farsi delle idee. Quindi partecipare consapevolmente alla vita della società cui si appartiene: anche quando si va a votare. La base stessa di un sistema democratico.
Ecco perché la posta in gioco è molto più seria di quello che viene presentato come un semplice confronto fra interessi di diverse categorie di commercianti, i piccoli librai da una parte e le grandi catene dall’altra. Anche perché il terzo incomodo, cioè Amazon, dopo aver messo alle corde i librai indipendenti ora ha dichiarato guerra anche alle suddette catene sul terreno della distribuzione.
La vicenda di cui stiamo parlando potrebbe peraltro offrire l’occasione di apprezzare la potenza del bicameralismo perfetto sopravvissuto al referendum che tre anni fa ha affossato Matteo Renzi. Quel meccanismo terrebbe infatti ancora sospesa all’incertezza la legge approvata la scorsa estate alla Camera anche allo scopo di frenare la desertificazione delle librerie indipendenti. Dentro ci sono norme che riguardano l’istituzione dell’albo delle librerie di qualità e l’ampliamento dei limiti di spesa per cui i librai possono usufruire del credito d’imposta. Ma la misura più importante è il ridimensionamento dal 15 al 5 per cento dello sconto massimo che normalmente si può praticare sui libri nuovi venduti nelle librerie, per corrispondenza o attraverso piattaforme online.
Arrivata a novembre in Senato dopo ben tre mesi dalla sua approvazione da parte della Camera, la legge si è trovata nel bel mezzo dell’ingorgo causato dalla sessione di bilancio. L’iter di un provvedimento che secondo le previsioni doveva semplicemente essere confermato in Senato nel testo licenziato da Montecitorio è quindi per forza di cose scivolato oltre la fine del 2019. Si poteva evitare, magari senza perdere tutto quel tempo per il passaggio al Senato. Comunque, poco male. Se non fosse che quel testo prevede l’entrata in vigore a partire da una data ormai passata, ossia il primo gennaio 2020. Dunque va da sé che almeno la data andrebbe cambiata. Ciò basterebbe, causa il bicameralismo perfetto di cui sopra, perché la legge debba tornare alla Camera. A meno che non venga accettata una interpretazione data ieri dagli uffici del Senato secondo cui una terza lettura si potrebbe anche evitare. «In commissione al Senato potremmo votare già il 28 gennaio e andare subito dopo in aula, visto che l’impegno della maggioranza è per un’approvazione sollecita. La legge è urgentissima», dice il relatore Francesco Verducci, senatore del Pd. Ammettendo che «c’è un dibattito in corso, tenuto aperto dall’Aie».
È l’Associazione italiana degli editori guidata da Ricardo Franco Levi, ex deputato del medesimo partito di Verducci e già sottosegretario alla presidenza con delega all’editoria nel secondo governo di Romano Prodi, ispiratore della legge che in precedenza aveva fissato gli sconti massimi al 15 per cento. E che ora verrebbe smantellata da quella attualmente in discussione. Le contestazioni dell’Aie sono in un documento secondo cui fra il 2018 e il 2019, pur senza considerare l’impatto delle ultime vendite natalizie, con la riduzione per legge dello sconto «i lettori italiani avrebbero dovuto spendere 137 milioni di euro in più per comprare la stessa quantità di libri». Il taglio dal 15 al 5 per cento non mancherebbe di avere ripercussioni sui fatturati, sottolinea l’Aie, se solo i forti acquirenti venissero da questo indotti a rinunciare a due libri l’anno, determinando in questo modo un calo di vendite di 110 milioni l’anno. Per non parlare, aggiunge il documento, di oltre un quarto dei lettori “deboli” che comprano libri solo se scontati. Nonché dell’impatto sulla grande distribuzione, per quanto questa incida ormai soltanto sul 7 per cento del mercato contro il 14 del 2015. Infine «la rimodulazione degli sconti per migliorare la marginalità delle librerie a conduzione familiare potrebbe annullare il recupero» di 200 milioni delle vendite registrato dal 2016 mettendo a rischio fino a 2.000 posti di lavoro.
Resta il fatto che la politica degli sconti non ha mutato di una virgola la deprimente situazione della lettura in questo Paese, dove il numero di italiani che leggono non si schioda dai livelli di 17 anni fa. Né ha modificato qualcosa l’offensiva di Amazon, che ha solo contribuito ad accelerare la distruzione di posti di lavoro e la fine di tante piccole imprese. Davvero il solo cambiamento che abbiamo visto.