il Fatto Quotidiano, 15 gennaio 2020
Perché Atlantia rischia il crac
Ora è il momento del redde rationem per i Benetton. L’eventuale revoca della concessione delle autostrade italiane gestite da Aspi, non potrà che riverberarsi a cascata a monte dell’intera filiera societaria: da Autostrade per l’Italia su verso Atlantia, che di Aspi possiede l’88%, fino a Sintonia ed Edizione, la holding di Ponzano che di Atlantia ha il 30% del capitale. Comunque andrà, sarà un sommovimento tellurico per l’intero impero della potente famiglia, costruito più di 20 anni fa su un enorme castello di debito.
Cosa c’è di meglio che gestire business monopolistici, che vivono di rendita su tariffe garantite e con hanno (apparentemente) rischi operativi? Anziché fare maglioni (che infatti sono in profonda crisi da anni con il marchio di casa) meglio sfruttare le grandi privatizzazioni per assicurarsi quelle mucche da mungere che sono le concessioni pubbliche: dalle autostrade fino agli aeroporti. In fondo da imprenditore metti il minor capitale possibile, sai che avrai flussi di cassa così imponenti da attirare banche e investitori disposti a prestarti denaro perché a garanzia ci sono flussi di reddito che valgono, nel caso di Autostrade, incassi. Un vero Bengodi, senza precedenti in altri settori. L’unica avvertenza è che quelle concessioni così ricche te le devi meritare, garantendo efficienza e sicurezza della rete. Proprio quello che i Benetton hanno dimostrato di non saper gestire e tutelare con il disastro del ponte Morandi, che ha scoperchiato il vaso di Pandora fatto di manutenzioni al minimo, report falsati e investimenti tenuti al lumicino.
E ora i conti non tornano più. Se Autostrade perdesse la concessione svanirebbero quei flussi di cassa che hanno consentito di indebitarsi oltre misura e il castello da Autostrade in su crollerebbe di schianto. Aspi con i suoi oltre 3 miliardi di fatturato è il gioiello della Corona per Atlantia. Valeva prima della conquista della spagnola Abertis (anch’essa a debito) il 60% dell’intero fatturato annuo. Aspi apporta anche una forte dose di redditività industriale: 2 miliardi sui circa 5,6 di margine operativo lordo della controllante quotata. E nei primi nove mesi del 2019 c’è l’apporto di Abertis di cui Atlantia possiede il 50% più un’azione. Nel 2018 il peso della redditività industriale di Aspi era ancora più pronunciato: 2 miliardi su 3,76. Ancora più imponenti i flussi di cassa operativi: da Aspi arrivavano ad Atlantia pre Abertis ben 1,7 miliardi sui 2,9 totali della holding.
Tagliare quel contributo così importante avrebbe l’effetto di dimezzare ricavi e margini, ma non il debito, che diverrebbe ingestibile prima per Aspi e subito dopo per Atlantia. Ed è proprio su questa considerazione che le tre agenzie di rating in rapida successione hanno portato il rating di Atlantia a livello spazzatura. I flussi di cassa mancanti di Autostrade spingerebbero il rapporto debito/margini a livelli non sostenibili.
Del resto già oggi sia Aspi che Atlantia viaggiano con debiti molto elevati. La prima ha un debito netto di 8,8 miliardi, di cui oltre 2 con la Banca europea degli investimenti e con la Casa depositi e prestiti, che in virtù del downgrading del rating potrebbero chiederne il rimborso anticipato. Oltre 7 miliardi sono prestiti obbligazionari. Il peso del debito vale già oggi oltre 4 volte il margine lordo. Significa che ci vogliono 4 anni interi di margini cumulati per rimborsare l’intero ammontare, senza però fare investimenti, ammortizzare più nulla, pagare gli interessi e i dividendi.
Con la revoca della concessione quel debito dovrebbe essere ripagato chiamando in causa Atlantia che ne garantisce buona parte. Ma il vizietto di tirare a più non posso l’indebitamento affligge tutti i business del gruppo. Atlantia prima di Abertis aveva debiti netti per 12,4 miliardi su un margine lordo di 3,5 miliardi. Dopo l’acquisizione del gruppo spagnolo il debito è schizzato a 38 miliardi su un Mol che dovrebbe raddoppiare a quota 7 miliardi ma che tiene la forchetta debito/mol a livelli elevatissimi. Ora molti osservatori mettono in guardia dagli effetti domino sugli obbligazionisti e azionisti della galassia, come la lettera inviata dagli investitori istituzionali di Atlantia a Bruxelles per mettere in mora il governo. Sapevano però quale livello elevato del loro stesso debito era caricato sulla società. E quando la leva debitoria è così elevata, il rischio non è remoto. Nessuno poteva prevedere il disastro di Genova, ma più che prendersela con il governo dovrebbero chiedere conto ai Benetton e ai loro manager della manutenzione così carente. Anche quella dai bilanci si poteva vedere. Da anni.