ItaliaOggi, 15 gennaio 2020
La crisi del medico pubblico
L’ultimo allarme arriva dal Veneto: gli ospedali sono sguarniti perché un terzo dei posti vacanti non riescono a essere coperti. Nessuno partecipa ai concorsi o tutt’al più la partecipazione è assai al di sotto del numero dei posti disponibili. La regione ha censito 357 posti che attendono un medico che non arriva e il motivo è «l’insufficiente partecipazione di candidati alle selezioni».Quella del medico pubblico è diventata una professione a rischio e con una remunerazione poco appetibile. Negli ultimi tempi si sono moltiplicate le aggressioni, non solo nei pronto soccorso ma anche nei reparti. È un bollettino di guerra. In questo gennaio già 5 episodi a Napoli oltre a un petardo lanciato contro un’ambulanza (ha investito il medico a bordo), un ’ambulanza incendiata e tre medici percossi in Sardegna, 4 aggressioni in Emilia-Romagna, e così via.
Poi ci sono società legali in agguato, pronte a chiamare in causa medici e Asl anche per un nonnulla. Tra l’altro la copertura assicurativa che le aziende sanitarie concedono ai propri medici è limitata e quindi gli interessati debbono ricorrere a un’assicurazione integrativa, con un notevole costo. In Veneto sono andati deserti i concorsi per l’Urgenza e il Pronto soccorso (108 posti scoperti), per l’Anestesia-Rianimazione (76), la Ginecologia (42), la Pediatria (30), la Radiodiagnostica (28), l’Ortopedia (16), e così via. «Due terzi dei posti vacanti», dice Giovanni Leoni, segretario veneto del sindacato dei medici ospedalieri Cimo, «sono legati alla fuga di tanti colleghi, in numero sempre maggiore, verso il privato, sul territorio, all’estero. Non è vero che non ci sono medici specialisti, ce ne sono sempre meno nel pubblico». Aggiunge Massimiliano Zaramella, presidente di Obiettivo Ippocrate. «Fare il medico oggi ha meno appeal, evoca meno rispetto di qualsiasi altro professionista. La tutela della salute, così come il valore della cultura e dell’istruzione, sono ormai dei disvalori, per cui medici e insegnanti diventano burattini nel teatro di una quotidianità grigia di non valori. Non abbiamo una tutela adeguata al tipo di lavoro che svolgiamo, non abbiamo la possibilità di una carriera professionale legata alle capacità e ai meriti, la nostra autonomia decisionale è affondata da catene amministrative, economiche e da ingerenze politiche».
Gli ultimi casi. L’azienda sanitaria del Polesine ha cercato inutilmente 11 professionisti per i reparti di medicina e chirurgia d’urgenza. Per facilitare la partecipazione, la selezione era stata aperta anche agli specializzandi all’ultimo anno. Nonostante questo, nessuno si è presentato.
In Molise è andato deserto un concorso per due pediatri tanto che il commissario alla sanità, ha autorizzato incarichi libero-professionali a medici in pensione per turare la falla. Dice il direttore sanitario dell’Azienda molisana, Antonio Lucchetti: «Bandiremo nuovi concorsi nella speranza di avere nuove unità ma i numeri dicono questo: su 13 posti per dirigente medico del Pronto soccorso si sono presentati solo 3 candidati, per Ortopedia 2 su 4, Ostetricia e Ginecologia 2 su 5 e per Neonatologia non si è presentato nessuno. È una carenza che sta mettendo in crisi i vari servizi».
A Lecco il pronto soccorso è sotto di cinque unità e il primario Luciano d’Angelo alza le braccia al cielo: «È un mestiere ad alto rischio, sempre in trincea, senza margini per organizzare con calma un fine settimana, per non parlare di periodi natalizi o estivi… è una dedizione unica al lavoro che non tutti accettano. Ma qualcosa per cambiare bisogna fare. Stiamo cominciando, anche a Lecco, ad assumere medici stranieri, non europei. E la tendenza sarà sempre più quella…».
A Lamezia ha chiuso l’ambulatorio di Ginecologia, in Umbria sono stati richiamati i medici in pensione, ad Agrigento l’Asl ha avviato le selezioni pubbliche per medici da destinare ai pronto soccorso delle strutture ospedaliere e alla fine ha dovuto ammettere: «Non è stato possibile reperire un numero di professionisti utile a coprire i posti vacanti e disponibili della disciplina di medicina e chirurgia di accettazione e di urgenza».
Nei pronto soccorso italiani mancano 2 mila medici, 800 in più rispetto allo scorso anno. «E ogni anno si registra un incremento del 10% del sovraffollamento, inteso come inappropriata permanenza in barella in pronto soccorso di pazienti in attesa di posto letto», dice un dossier redatto da Simeu, Società italiana di medicina di emergenza-urgenza. «Si tratta di una situazione che rischia di diventare esplosiva per l’intero sistema sanitario e per l’impatto sulle cure ai pazienti».
Sul fronte ortopedico una testimonianza è quella di un primario dell’Istituto Rizzoli di Bologna, Cesare Faldini: «L’insuccesso in chirurgia fa parte di quanto può accadere: nessun intervento (nemmeno il più semplice) garantisce buoni risultati a tutti, figuriamoci le procedure complesse. Ecco perché una pubblicità che promuove azioni legali contro i medici danneggia i pazienti perché crea un grave malinteso, come se ogni risultato insoddisfacente dovuto a una complicanza fosse la conseguenza di un errore medico. Ma complicanza ed errore medico sono due evenienze ben diverse. Promuovere azioni legali contro gli insuccessi della chirurgia non farà altro che aumentare la paura e l’astensionismo da parte dei medici, e i pazienti ci rimetteranno perché si rischia di rendere insostenibile la scelta, mai facile, tra astenersi per non prendere una denuncia oppure operare fregandosene del rischio».
Interviene anche Filippo La Torre, presidente del Collegio italiano dei chirurghi (Cic): «Ci sono concorsi per centinaia di posti nei vari ospedali italiani per riempire le carenze che vanno vacanti. Perché nessuno vuole più fare questa bellissima professione? Non la vogliono fare perché la considerano di altissimo rischio, con alti costi di assicurazione, si finisce per passare moltissimo tempo con gli avvocati e nei tribunali e poi rischiare anche una cosa terribile, quella dell’aggressione fisica poiché è venuto a mancare il rispetto del cosiddetto camice bianco che è colpevolizzato sistematicamente».
La mappa delle carenze è disegnata dal sindacato medico dell’Anaao. A guidare la classifica delle regioni è il Piemonte al Nord, la Toscana al Centro, la Sicilia al Sud. In Piemonte il saldo negativo è di 2.004 medici, in Emilia si arriva a 597 figure mancanti (soprattutto cardiologi, pediatri, psichiatri e radiologi). Per la Campania il saldo negativo è di 1.090 unità. Tutti gli ospedali pubblici stanno cercando medici e non li trovano. Sarà uno dei problemi da risolvere per il ministro Roberto Speranza.