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 2020  gennaio 14 Martedì calendario

Biografia di Iginio Massari

Il pasticcere migliore del mondo (titolo che gli è stato conferito a maggio, durante il congresso internazionale World Pastry Stars 2019) ogni volta che lo incontriamo di persona ci sembra sempre più una creatura fatta con la luna. Nessuno, forse i parenti, ricorda che un tempo abbia avuto i capelli non bianchi, anche su internet, nelle foto, a volte è più magro, altre più pettinato, ma sempre bianco: come bianca, e qui sta la seconda alienità nell’aspetto di Iginio Massari, è la sua faccia, la pelle è chiarissima e tesa da fare invidia alle ragazze, come se avesse vent’anni, o comunque non i 77 che ha. Ne va fiero, giovanotto? Non risponde e ride, o non si sa, forse digrigna, perché quest’uomo che ha e indossa i colori più soavi, il corpo sempre indottrinato nella divisa bianca chiusa che lo abbraccia tutto, collo incluso, in realtà è cattivissimo. Solo essendo cattivissimi si può fare i pasticceri, maestà? «È rigore, la pasticceria fatta bene parte da un solo principio, il rispetto per il destinatario. Anzi no, ce n’è un secondo, essere autocritici. Ogni volta che fai una cosa bene, pensa a come potrai farla meglio». L’età ha addolcito i tratti del volto ma non la lingua, le sue ospitate nelle trasmissioni di cucina sono le più attese e le più temute, dipende da che parte si sta del televisore. È il copione del suo personaggio o è davvero ogni giorno così, maestro? «Ogni giorno così». 
LE TRASMISSIONIDi sicuro, chi beneficia dell’esistenza di Massari, oltre i suoi clienti, sono gli spettatori televisivi, e, diciamolo, anche le trasmissioni. Prendiamo Masterchef, dove quest’anno la carta-Massari è stata giocata a inizio partita, alla terza puntata. «Io ho fatto più di 280 trasmissioni televisive, ma è stato Masterchef a darmi la notorietà che ho oggi», ammette, e gongola (s’intenda, per quanto può gongolare un bresciano) quando nota che la puntata con la sua ospitata ha fatto il doppio di share di quelle precedenti. Abbiamo il sospetto che aver giocato subito il carico da undici sottenda una certa stanchezza del format, Massari fa spallucce. «Non so, e se lo so non lo dico certo a voi». Sembra che al mondo a non soffrire di stanchezza sia rimasto solamente lui. Dorme tre ore per notte, si alza alle due del mattino e se riesce a non crollare alle dieci e mezzo di sera che, spiega, «è l’ora della crisi», poi può anche tirare dritto fino alla sera seguente. Vittime e testimoni dei suoi ritmi sono i collaboratori e gli assistenti che lo accompagnano in giro per il mondo: «Questi ragazzi il più delle volte non ce la fanno, quando scendiamo dall’aereo loro mi seguono per un po’ e poi… finisco con il fare da solo, perché si addormentano, a volte fino al momento di ripartire. È successo!». E ride. Ride meno quando nota cose che non c’entrano con la resistenza fisica, ma con la sua tirannia lavorativa: «Ora hanno tutti questa moda di portare la barba. In laboratorio! La pasticceria non va d’accordo con i peli, se vuoi la barba vai a lavorare il ferro. E allora io faccio indossare a tutti un portabarba, come una cuffia per i capelli, ma sulla barba». Due anni fa, ci tiene a far sapere che sono stati i figli a «costringerlo», ha aperto a Milano una “dependance” della storica pasticceria Veneto (che ha fondato nel 1971), in via Guglielmo Marconi. In autunno è nata quella di Torino, in Piazza Cln. Gli chiedi come va e lui allarga le braccia: «Ci sono le code, mah, sarà che non ci sappiamo organizzare (sogghigna), o sarà che dove non ci sono le code sono molto più bravi di noi (risogghigna)», ed è qui che capisci dove la rudezza lombarda sfuma nella soddisfazione. 
IL CIOCCOLATO Che cosa si può dire a uno che sta lavorando a un’autobiografia e si è rifiutato di affidarla a un editor: «Solo io so quello che voglio dire e il modo semplice in cui lo voglio dire»? Gli si chiede che cosa ha in serbo di nuovo e prima ammette di star lavorando al suo cioccolato («quelli in commercio non rispondono più alle mie necessità»), poi tira fuori un volume stazzonato dei primi dell’Ottocento e un altro di appena un secolo dopo (l’autore è Hans Weber, un pasticcere di Dresda che aveva già disegnato quasi tutta l’alta pasticceria che va di moda oggi): «Agli “inventori di cucina” dell’ultima ora, consiglio di leggere i libri antichi. Troveranno tutte le loro pensate. È un bell’esercizio di autocritica e una grande scuola». A proposito di scuole, quando gli si chiede quale Paese del mondo lo ha ispirato e formato di più, se vi aspettate la Svizzera, dove dall’età di 16 anni ha trascorso i suoi primi anni di formazione, o un altro posto qualsiasi fra le decine che ha frequentato e dove ha lavorato, neanche ci sta a pensare: «Io sono bresciano», più sicuro e svelto di Kennedy a Berlino. D’altra parte, difficile pensare a altro un campione di brescianità: nei “big data” del Giornale di Brescia, la notizia del riconoscimento mondiale che gli è stato conferito in estate è prima nel rilancio sui social, largamente davanti alla morte di Nadia Toffa. Seguono le Rondinelle di nuovo in serie A e il ritorno di Balotelli.