Libero, 14 gennaio 2020
L’Italia ha gli insegnanti più vecchi del mondo
C’erano una volta i ragazzini che appena usciti dalle scuole medie si iscrivevano alla scuola magistrale col sogno, un giorno non troppo lontano, di sedersi alla cattedra per insegnare. Trasmettere il proprio sapere agli altri era una virtù che in tanti scambiavano per una missione. Ora, però, non è più così: quasi nessun giovane aspira a diventare professore. Sarà per gli stipendi troppi bassi o per i percorsi di studio troppo tortuosi, ma i numeri nudi e crudi attestano che l’appeal per la professione è completamente svanito. Il nostro Paese, stando ai dati del rapporto Ocse “Education at a glance 2019”, ha infatti gli insegnanti più vecchi del mondo: sei su dieci sono ultra cinquantenni. All’interno di un quadro del genere è facile capire che nel giro dei prossimi dieci anni dovremmo rinnovare la metà del parco insegnanti, ma è altrettanto difficile passare dalle parole ai fatti. E il motivo è presto detto. I giovani tra i 25 e i 34 anni, infatti, rappresentano appena lo 0,5 per cento del corpo docenti. Una goccia dentro al mare che rende di fatto impossibile portare avanti un turnover strutturale. Giusto per intenderci, se l’età media delle maestre (e dei pochissimi maestri…) italiane si attesta sui 50 anni, in Francia si scende a 41 e in Gran Bretagna addirittura a 37. Praticamente stesso discorso alle scuole medie, dove i prof nostrani sono sempre i più vecchi del pianeta: hanno in media 50 anni, contro i 46 degli spagnoli, i 44 dei francesi e gli appena 38 degli inglesi. E alle superiori? Poco cambia. Tra gli italiani e i turchi ballano addirittura 13 anni di differenza: 51 anni i nostri, 38 gli insegnanti medio-orientali.
Dicevamo delle paghe troppo basse rispetto a quelle di altri professionisti. Nello stesso rapporto Ocse viene spiegato che il 68 per cento degli insegnanti considera l’aumento degli stipendi la principale priorità. Ed è normale che sia così, visto che l’Italia continua a essere il fanalino di coda in Europa per gli stipendi dei professori. «Tutti i governi ne parlano, ma nessuno fa nulla. L’ultimo scatto di carriera in Italia lo facciamo dopo 35 anni, mentre in altri Stati lo si fa già dopo 20. La scuola è l’infrastruttura più importante di un Paese, ma da noi è abbandonata all’oblio. Ogni anno gli insegnanti perdono 3.000 euro considerati gli scarsi stipendi e il costo della vita che aumenta», spiega Giuseppe Antinolfi, segretario provinciale Snals (Sindacato nazionale autonomo lavoratori scuola) Milano ed ex docente.
I paragoni, infatti, sono impietosi. Basta dire che un professore delle medie appena assunto, in Germania, guadagna 8.000 euro all’anno in più rispetto a uno delle superiori a fine carriera in Italia (42.000 euro contro 34.000): esperienza e grado di scuole diversi, eppure uno squilibrio evidentissimo.
Ma gli insegnanti italiani, che siano alle elementari o nei licei, guadagnano sempre meno rispetto ai colleghi stranieri sin dal loro primo giorno di lavoro. Se alle scuole primarie i maestri di casa nostra appena assunti prendono 20.000 euro, in Austria si sale a 26.000, in Spagna a 30.000 e in Germania addirittura a 38.000. E anche a fine carriera la solfa non cambia: i prof più anziani delle superiori, nel nostro Paese, prendono 34.000 euro, contro i 52.000 dei portoghesi e i 54.000 dei belgi, solo per fare due esempi.
Pesate queste cifre, diventa davvero difficile biasimare i prof che danno ripetizioni in nero agli studenti. «Per il lavoro che svolgiamo veniamo pagati una miseria e pensano solo a tassarci le lezioni private... Siamo responsabili della formazione dei ragazzi, dopo anni di studi e sacrifici tra corsi e specializzazioni, eppure la nostra professionalità non viene riconosciuta quasi da nessuno. Anzi, sentiamo spesso di aggressioni e insulti da parte di genitori e studenti: ormai, purtroppo, nell’immaginario collettivo il professore conta zero», racconta un’insegnante di un istituto tecnico di Milano che preferisce rimanere anonima. Per l’istruzione, in Italia, si continua a spendere poco e male. Il nostro Paese, infatti, investe appena il 3,6 per cento del suo Pil contro il 5 per cento della media Osce. I fondi messi a disposizione della scuola, tra il 2010 e il 2016, sono pure diminuiti del 9 per cento e così il 90 per cento del bilancio del Miur (ora spacchettato dai giallorossi) continua a ingrossare le tasche dell’oltre milione di dipendenti pubblici...