Il Sole 24 Ore, 14 gennaio 2020
Le 300 milizie in campo in Libia
Sono tante, troppe. Almeno 300. Le loro alleanze talvolta si forgiano e si disfano nel volgere di pochi mesi, a seconda degli interessi. La costellazione di milizie presenti sul suolo libico è l’ostacolo più duro da rimuovere per avviare un processo di transizione.
Anche per il generale Khalifa Haftar, signore della Cirenaica, e per il suo nemico, il premier del Governo di Tripoli, Fayez al-Serraj, le milizie sono un problema. Lo sono sempre state. La priorità dei vari premier che si sono succeduti dal 2011 è sempre stata il disarmo dei gruppi armati. Hanno fallito tutti. Carri armati, razzi, artiglieria pesante. Quando, durante la rivolta del 2011, l’esercitò di Gheddafi abbandonò i magazzini di armi, l’immenso arsenale cadde nelle mani delle milizie. Che poi continuarono a rafforzarsi ricorrendo al contrabbando e da alcuni anni ai rifornimenti di armi da parte di diversi Paesi, tra cui Egitto, Emirati, Turchia. Ognuno impegnato a difendere uno dei due belligeranti.
A distanza di otto anni dalla morte Gheddafi, la Libia resta in mano alle milizie. Nella parte controllata da Tripoli le più potenti sono quella di Misurata e di Zintan. Misurata si è resa protagonista nella rivolta contro Gheddafi. Ma anche nel 2016 ha mostrato i muscoli, cacciando l’Isis da Sirte, dove aveva creato un Califfato. Se Serraj è ancora al potere a Tripoli, lo deve soprattutto a Misurata. L’agguerrita milizia di Zintan è nota per aver cacciato il dittatore da Tripoli, nell’agosto del 2011. Sconfitta da “Alba Libia”, la coalizione di milizie islamiche che nel 2014 ha insediato a Tripoli un Governo ombra, Zintan oggi è divisa. «C’è un nocciolo duro pro-Haftar, che a Zintan ha la sua base. E c’è una fazione pro-Serraj. Se non si sono finora fatte la guerra è grazie a un patto di non belligeranza stretto tra le tribù», spiega Claudia Gazzini, analista dell’International Crisis Group.
Spostandosi in Cirenaica, il gruppo armato di Haftar è il più numeroso del Paese (20mila combattenti di varia provenienza). Il generale ha sempre amato definirlo Libyan national Army, quasi a voler marcare la distanza dalle altre milizie. In verità l’Lna non è un monolite. «È un universo composto da vari gruppi armati – spiega Claudia Gazzini –. C’è un nocciolo duro di cadetti dell’Est reclutati e addestrati (circa 7mila, ndr). Ma vi sono anche milizie del Sud, che si sono unite ad Haftar nel corso degli anni, e della Libia occidentale, come le katibe di Zintan e di Tarhuna L’alleanza (nel 2019) delle brigate di Tarhuna (a sud di Tripoli, ndr) con quelle di Haftar era insospettabile fino a pochi anni fa».
Che le alleanze in Libia siano cangianti è un dato di fatto. Soprattutto quando si parla di tutti quei gruppi che da anni si sono alternati nel compito di garantire la sicurezza dei giacimenti petroliferi e dei terminali per l’export. «Tutte le infrastrutture energetiche sono in qualche modo protette da milizie. El-feel cosi come Sharara, due grandi giacimenti nel Sud oggi sotto il controllo di Haftar, hanno cambiato mano più volte. Anche il terminal di Mellitah (dove opera l’Eni, ndr) o la raffineria di Zawia sono state interessate da controlli di miliziani. Talvolta ne hanno approfittato per vendere prodotti raffinati illegalmente», spiega Arturo Varvelli, esperto di Libia e responsabile della sede di Roma dell’European council on Foreign relations. «Ufficialmente la gran parte dei pozzi in Libia è sotto il controllo amministrativo di Haftar e della forza per le installazioni petrolifere (che fa capo a Tripoli). Nel Sud della libia si tratta in gran parte di milizie locali che hanno accettato di passare sotto di Haftar. A Mellitah la gestione della sicurezza è cambiata spesso», conclude Gazzini, che aggiunge. «Ci sono varie brigate soprattutto nel Sud e nell’Ovest che operano solo per fine di lucro. Altre sono più ideologiche e nazionalistiche, altre dal business si sono ideologizzate». In Tripolitania diversi gruppi operano in modo indipendente e simultaneamente sotto il cappello delle “forze di protezione di Tripoli”, annunciato a fine 2018.
Lo spinoso problema delle milizie pare destinato a incidere ancora a lungo sulle sorti della Libia. Un Paese la cui società si fonda su centinaia di tribù. «Dopo il 2011 le tribù si sono talvolta alleate con le milizie, che possono essere milizie tribali ma anche con affiliazioni ideologiche o di vicinato. Sono nate milizie non più su base familiare, ma tra vicini. E ciò ha cambiato gli assetti» conclude Varvelli.