Come andò?
«L’operò il professor Marcacci, alla clinica Toniolo, poi Roby venne da noi. Passarono 77 giorni e riuscì a tornare in campo».
Era il 21 aprile del 2002, Baggio sostituì Giunti ed ereditò da Guardiola la fascia di capitano.
Brescia-Fiorentina 3-0 con doppietta del Codino. Ma pochi mesi dopo il Trap non lo chiamò ai Mondiali di Corea e Giappone.
«Ci furono polemiche a non finire, anche petizioni, l’allora ct non lo ritenne pronto, Baggio ci rimase malissimo».
Comprensibile.
«Lui aveva ancora in testa quell’errore dal dischetto a Pasadena, nel ’94, ci teneva a rifarsi, anche a distanza di così tanti anni».
Resta oggi, come allora, quello al crociato, un intervento delicatissimo.
«È un infortunio che, diciamolo, può condizionare una vita, parlando di professionisti. L’esempio di Marchisio è evidente, è il classico infortunio che può far declinare una carriera o se uno è agli inizi, impedirla del tutto o comunque limitarla molto».
Voi con Baggio faceste una sorta di miracolo, anche per la tempistica.
«Il caso di Zaniolo però è diverso e non parlo dell’interessamento al menisco di cui ho sentito dire, che forse c’è per Zaniolo e che Baggio non aveva. Il discorso è un altro».
In che senso?
«Baggio aveva 35 anni, quel Mondiale sarebbe stato l’ultimo acuto di una carriera da sogno.
Valeva la pena tentarle tutte. A Zaniolo auguro ovviamente di partecipare al prossimo Europeo, ma ha appena 20 anni e una vita davanti. Per questo dico che sono due storie diverse, Nicolò non ha certo bisogno di accelerare i tempi».