La Stampa, 13 gennaio 2020
Nove morti al giorno a causa del traffico killer
È vero, si continua a perdere la vita sulle strade ma sempre di meno, hanno sostenuto più volte gli esponenti di governo in questi giorni quando sono stati messi dinanzi alla lunga serie di morti causate da comportamenti scorretti da parte di conducenti o di pedoni, e alla richiesta di un segnale.
Le cifre di una strage ignorata
Le cifre in calo e alcune promesse sono state l’unica risposta del mondo della politica nel commentare una strage che fa scomparire ogni giorno 9 italiani e ne ferisce 665. Sono le cifre di un’epidemia, di un’emergenza nazionale, una sorta di tributo perenne da pagare non si sa bene a chi o a che cosa, mentre la politica appare incerta, balbettante se non del tutto latitante. L’Italia si era impegnata nel 2010 con l’Ue a ridurre gli incidenti stradali del 50% entro il 2020 e invece nel 2019 sono aumentati del 7%. Tra i morti, sale il numero dei pedoni (+3%), dei ciclomotoristi (+17,4%) e dei giovani: le vittime tra i 19 e i 24 anni di età sono aumentate del 25,4%. Sono i più deboli sulle strade.
Le cause più frequenti degli incidenti sono la distrazione, il mancato rispetto della precedenza, la velocità ma anche lo stato delle infrastrutture: dalla mancanza di segnaletica all’inadeguatezza di una protezione o le buche. Per misurare il livello delle manutenzioni stradali in genere si usa il consumo di bitume: in 12 anni si è passati da quasi 45 milioni di tonnellate consumate a 28 milioni, poco più della metà.
Basterebbe leggere questi dati per capire le cause degli incidenti e in che direzione agire per eliminarle. Invece da anni si tenta di introdurre un inasprimento delle sanzioni per chi usa il telefonino mentre guida. L’unico risultato tra annunci, rinvii e sonore litigate. Secondo il sottosegretario ai Trasporti Salvatore Margiotta, il governo è deciso ad accelerare i tempi. Se anche dovesse essere così, ci sarebbe poco da esultare. «I governi stanno perdendo tempo e perdere tempo in questo caso vuol dire avere sulla coscienza le vite di tante persone. Quanti morti ci sono stati perché manca una norma forte sull’uso dei telefonini alla guida? Mille?», denuncia Mino Giachino, sottosegretario ai Trasporti nel governo Berlusconi. Giachino è stato protagonista di una stagione di riforme al codice della strada e lo rivendica. «Gli unici provvedimenti approvati dal Parlamento negli ultimi 13 anni che hanno dato grandi risultati nella diminuzione degli incidenti stradali sono, infatti, la patente a punti e la riforma del 2010. Con questi 2 provvedimenti la mortalità è stata dimezzata (dai 7100 del 2001 ai 3385 del 2014). Ora la curva discendente ha invertito la rotta e nell’ultimo anno la mortalità è risalita a 3425. Tutti ritengono che l’uso del telefonino a bordo, che negli ultimi cinque anni è triplicato, sia la maggiore causa della nuova incidentalità, eppure il Parlamento è fermo da un lustro con gravi responsabilità da parte dei governi».
L’unico segnale concreto
Anche Giuseppa Cassaniti, presidente dell’Associazione Italiana Familiari delle Vittime della Strada, lancia la stessa accusa. «Nel 2017 è stata istituita la Giornata nazionale. E’ l’unico segnale concreto arrivato da Roma negli ultimi anni. Abbiamo scritto tante lettere ma non abbiamo avuto risposte in fatto di prevenzione: su questo gli esecutivi hanno un’enorme responsabilità. Per quanto riguarda le sanzioni crediamo che la perdita dei punti della patente debba essere definitiva: pertanto abbassare i punti da perdere (quindi, non 10 ma 2 o 3 ) con la consapevolezza che non saranno più restituiti. E se si prosegue nel trasgredire le norme, si rischia di perdere definitivamente la patente. Bisogna aver chiaro in mente che la patente non è un diritto naturale, ma è un diritto acquisito e si mantiene fino a quando ad esso corrisponde il dovere di osservare le regole. Queste sarebbero le misure che ci aspetteremmo da un governo deciso a ridurre davvero il numero dei morti sulle strade». Invece, aggiunge, «finiamo per ascoltare tante parole e per dover assistere ogni volta alla parata del dolore quando accadono le tragedie. C’è qualche intervento a macchia di leopardo ma ci vuole informazione corretta, educazione stradale, interventi nelle classi».
Responsabilità della politica
Inoltre, «vanno coinvolte anche le scuole guida in modo da ottenere una formazione responsabile dei futuri conducenti ma si tratta di istituti ormai privatizzati: anche in questo esistono pesanti responsabilità della politica». Alfredo Giordani è il portavoce di Vivinstrada, una rete di associazioni che si occupano di sicurezza stradale. Al contrario di molti altri non chiede maggiori sanzioni sui telefonini. «Quello che sta accadendo sulle strade ci fa pensare altro. Il tasso di violenza è sempre troppo alto ma le auto sono più sicure: per far morire persone alla guida bisogna andare molto veloce. Muoiono invece sempre di più i deboli, i soggetti più vulnerabili come ciclisti e pedoni. Le cause degli incidenti non sono soltanto l’uso di alcol o sostanze stupefacenti ma l’aggressività: la guida è sempre più soggetta a irrazionalità e impulsività». Il 23 febbraio, prosegue, «saremo in strada a Roma per una grande manifestazione nazionale e per portare il tema della strage quotidiana dei più fragili all’attenzione dell’agenda politica e dei mass media». Dunque «proponiamo una nuova cultura della strada, chiediamo il coinvolgimento di tutte le forze dell’ordine come accadrebbe in qualsiasi emergenza. Se morissero due persone al giorno per terrorismo non ci sarebbero presidi in tutte le strade e i luoghi di sicurezza? Non sarebbe il caso di fare qualcosa, allora, visto che siamo arrivati a nove morti al giorno? Qualcuno sa che i disabili possono attraversare ovunque e che hanno la precedenza rispetto alle auto?». Inoltre «lo sanno solo i disabili che invece sanno di rischiare e quindi rinunciano a un loro diritto e vanno ad attraversare sulle strisce anche se per loro a volte è più scomodo». E’ necessario «un lavoro culturale profondo, ma avrà i suoi risultati fra molti anni». Nel breve termine si possono ridurre i morti sulle strade «soltanto aumentando i controlli, sanzionando i veicoli che non danno la precedenza sulle strisce e che circolano senza rispettare le regole del Codice». Perciò «la politica ascolti quello che le associazioni hanno da dire, si ricordi di dare maggiore spazio sulle strade a pedoni e ciclisti che sono i più deboli e i governi stanzino finalmente le risorse necessarie per realizzare una segnaletica in grado di dare le giuste informazioni a chi è sulle strade. E si lascino perdere i telefonini: secondo le nostre ricerche l’effetto deterrente di un aumento delle sanzioni è un punto interrogativo. Le stesse risorse possono essere usate in modo più efficace su misure certe». C’è un ultimo aspetto spesso dimenticato quando accade una morte sulle strade. «L’indifferenza nei confronti di chi resta», sostiene Patrizia Quaresima, madre di Andrea, un ragazzo di 16 anni morto in un incidente a Roma nel 1997: «Quando il familiare morto non ha pienamente ragione, chi gli sopravvive finisce per lasciar perdere le richieste di rimborso. I risarcimenti sono sempre al ribasso, una pratica umiliante: la famiglia vuole giustizia non soldi».