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 2020  gennaio 13 Lunedì calendario

In viaggio con i pompieri australiani

HOLBROOK (NUOVO GALLES DEL SUD) — Il pickup con lo stemma della Fire Brigade procede a tutta velocità lungo Jingellick road, in direzione del fumo. In lontananza i monti sembrano vulcani. Nella notte si è alzato un vento da nord fresco e teso che ha spazzato via la fuliggine dalla valle e ha pulito il cielo, così le colonne grigiastre che si stagliano sopra le cime del Mount Buffalo e Mount Beauty, nel cuore della regione alpina, sembrano eruzioni. Lo spettacolo è suggestivo ma non deve ingannare, dietro quelle montagne c’è l’inferno. Nascoste da un sipario di fumo ci sono decine di comunità in agonia, isolate, senza acqua e senza elettricità da giorni. Piccole cittadine turistiche già semidistrutte da una prima ondata di fuoco a fine dicembre e ora tenute sotto scacco dal megablaze, il super incendio che si è creato venerdì notte dall’unione di due differenti fronti. Impressionante per estensione, intensità e velocità. Una lieve variazione della direzione del vento e quei posti verranno spazzati via.
Il pickup sta andando a portare attrezzatura tecnica a Corryong, la prima trincea di questo fronte sterminato. Alla guida c’è Jordan, un uomo di 65 anni le cui rughe tradiscono tutti e trenta gli anni trascorsi da vigile del fuoco volontario. Fuma. È infastidito e non lo nasconde. «Venite tutti qui per la storia dei koala… E di noi altri che stiamo morendo come mosche, e della gente bloccata dall’altra parte, non frega niente a nessuno?». Fuma e non aspetta nemmeno la risposta. «La storia dei koala ve la spiego io in due parole: quando si sentono in pericolo scappano sopra gli alberi. Solo che in questo maledetto incendio il fuoco arriva dal cielo, piovono fiamme, e la prima cosa a incendiarsi è la corona degli alberi. Loro sono animali lenti, non fanno in tempo a scappare e finiscono arrosto. Ecco, ora sapete tutto dei koala». Ferma il furgone davanti a un cancello e scende.


I bambini e la morte
Al di là dell’inferriata c’è una specie di hangar. Sotto il tetto un cartello sbiadito: “Lankeys Creek Fire Brigade” è l’ultimo campo base prima del fuoco. Fuori ci sono bambini che giocano, «sono i figli di altri volontari che in questo momento sono su a spegnere le fiamme», dice. E poi spiega: «Facevo così anche io, con mio figlio. Che infatti oggi è volontario anche lui». L’intera struttura della sicurezza nazionale su questo meccanismo. Solo i vigili delle metropoli sono pagati. Nel resto del Paese ogni comunità si organizza per conto suo, fornendo solamente gli strumenti e la formazione alle donne e agli uomini di buona volontà. “Un esercito di eroi”. Che ogni estate paga un prezzo altissimo.
Quest’anno le vittime accertate sono già quattro (su 28). «Avete visto la foto del figlio di Keaton?». Harvey Keaton, 19 mesi, rimasto orfano pochi giorni prima di Natale. L’immagine di lui con il ciuccio in bocca e la divisa uguale a quella del papà, decorato dal capo dei vigili durante i funerali, fece il giro del mondo. «E avete letto di Bill Slade?», il vigile volontario travolto da un albero in fiamme mentre spegneva l’incendio di Omeo, nella regione di Victoria. «E tutti gli altri? quelli che sono rimasti mutilati o solo feriti? Di loro bisognerebbe parlare, dei loro figli. Non dei koala».


Quelli che restano
Jordan entra nell’hangar. Puzza di cenere. Per terra ci sono coperte e cuscini, i volontari dormono qui la notte. Sul lato corto è arrangiato un cucinotto, su quello lungo, a terra, delle casse di acqua. Dall’altro lato, un verricello, una sacca in nylon con le maschere per il fumo, casacche arancioni, caschi, guanti, tre radioline. Jordan mette tutto dentro un grosso zaino. Poi prende due casse d’acqua, carica il pickup e, rivolgendo un saluto ai bambini in cortile, riprende la corsa verso il fuoco. Fa molto caldo. Da un paio d’ore è stata ordinata l’evacuazione dell’intera valle. «Ora è come se ogni cosa fosse cosparsa di benzina. Basta niente e si incendia tutto».
A parte i pompieri, i soldati, i canadair e gli elicotteri, l’unica altra forma di vita apparente è quella dei black angus al pascolo. «In realtà questo posto è pieno di gente», dice Jordan fermando di nuovo il pickup davanti a un altro cancello. Sono “quelli che resistono”, e che, nonostante l’ordine di evacuazione, si rifiutano di abbandonare la propria casa. Da una porta esce Warren, un omone sulla sessantina, insieme a Moka, un vecchio labrador color caffé. Jordan, senza troppa convinzione, esorta l’uomo a evacuare la casa. L’altro nemmeno risponde, poi insieme passano in rassegna l’attrezzatura predisposta per resistere se le cose dovessero volgere al peggio: l’idropompa alimentata a benzina, gli idranti sul tetto e lungo il perimetro, il locale sicuro per l’attesa dei soccorsi. «Non posso andarmene, devo proteggere i maiali e non posso certo abbandonare Moka», spiega Warren. «Però mia moglie è andata via già dall’inizio di dicembre». In realtà, spiega poco dopo Jordan, «Warren mentiva, per pudore». Quelli che rimangono sono tutti contadini o albergatori che difendono la fattoria, o il bed & breakfast. L’unica cosa che hanno. «Dovrebbero essere assicurati. Ma siccome costa troppo e fallirebbero non lo sono. E quindi rimangono. Molto spesso finisce che ci aiutano, i contadini qui sono tutti volontari o ex volontari. Quella contro il fuoco è una battaglia collettiva». Alla quale partecipano anche i soldati.


I soldati
Più ci si avvicina agli incendi, più se ne incrociano. Hanno mezzi di tutti i tipi, dalle semplici jeep ai blindati, e facce sconfitte in partenza. Sembra uno di quei film in cui l’esercito si ritrova ad affrontare un’invasione aliena e i soldati già sanno che non potranno mai vincere. Da Canberra hanno messo in campo 3000 uomini (2016 sono riservisti). «Noi pensiamo alle fiamme, loro al resto». La Difesa ha fatto sapere che negli ultimi giorni hanno portato a Mallacoota, la città più sperduta e isolata, 4000 litri di benzina, 10,800 litri di diesel e 108545 chili di gpl. La fornitura più strategica è il diesel, alimenta l’unico generatore rimasto. «Avete idea di quanto sia importante non farli sentire abbandonati? Intere comunità hanno perso tutto. A Buchan (vicino a Mallacoota) il primo incendio ha distrutto le case, il secondo le fattorie e gli allevamenti. C’è gente che ha passato giorni interi a sparare alle proprie mucche ferite, io li ho visti: sparavano e piangevano». Anche a questo servono i soldati e i loro mezzi pesanti: «Per scavare le buche dove seppellire quegli animali».


Al fronte
Per arrivare a Corryong ci vuole ancora un’ora. Velocemente il panorama si fa tutto nero, carbonizzato: l’incendio è passato di qui. Poi sempre velocemente diventa tutto rosso, uno scenario marziano: «È la polvere ritardante: la lanciamo dall’aereo per ostacolare le fiamme chimicamente. Ma funziona poco». La strada è transennata. Il pickup si ferma. Sopra la transenna canadair ed elicotteri hanno un gran daffare. L’inferno è lì sotto. Dal cielo e da terra gli uomini gettano acqua su una vasta pineta in fiamme, anche se con la luce del mezzogiorno queste sono appena visibili. «Sai come ci è arrivato il fuoco lì? - Jordan indica la pineta, un’isola di alberi in mezzo alla montagna spoglia - Strisciando. Stavamo spegnendo un altro incendio a un chilometro di distanza, e all’improvviso è esploso di qua. A queste temperature con questa siccità, brucia tutto, anche l’humus della terra. E con il vento si sposta a una velocità impensabile. Hai presente quando nei film si vede la benzina che passa sotto la soglia della porta? È proprio così che cammina il fuoco, come un fantasma, bruciando la terra. E può fare chilometri». Scarica lo zaino e le casse d’acqua e le dà a un collega. I due si scambiano qualche parola. Poi si salutano. Jordan sale sul pickup e avvia il motore. Il cattivo umore non è passato: «Voi continuate a parlare dei koala o del cambiamento climatico. Io invece non riesco a non pensare che il mio collega è morto in un boschetto come quello».