Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  gennaio 12 Domenica calendario

GIAN CARLO CASELLI SCRIVE A DAGOSPIA PER RISPONDERE AL FIGLIO DI GIULIO ANDREOTTI E ALLA SUA ACCUSA DI AVER OMESSO DI RIPORTARE LE DICHIARAZIONI DEL PENTITO FRANCESCO MARINO MANNOIA SU PIERSANTI MATTARELLA: “MI LIMITO AD OSSERVARE CHE NELL’ARTICOLO PUBBLICATOMI DAL “CORRIERE” DI FRANCESCO MARINO MANNOIA NON SI FA NEPPURE IL NOME. MI SEMBRA EVIDENTE COME NON VI SIA MATERIALMENTE SPAZIO PER ANCHE SOLO IPOTIZZARE UNA QUALCHE OMISSIONE DI SUE DICHIARAZIONI…” -

Il 6 gennaio, anniversario del feroce omicidio di mafia che 40 anni prima aveva colpito a Palermo l’onesto e coraggioso  presidente della regione Piersanti Mattarella, il “Corriere della sera” ha pubblicato un mio articolo al riguardo. Il figlio del senatore Giulio Andreotti, Stefano, è intervenuto a sua volta con una lettera pubblicata dal “Corriere” l’8 gennaio, nella quale mi si  addebita, in sostanza, di aver omesso di riportare alcune dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia.  Di questa lettera “Dagospia” si è occupato due volte, dapprima riproducendola integralmente come “bombastica”, poi riprendendo un articolo di Simone Di Meo per “La verità” che sviluppa quanto scritto da Stefano Andreotti. In questa sede mi limito ad osservare (tralasciando ogni altra possibile considerazione) che nell’articolo pubblicatomi dal Corriere, come si può constatare dal testo che allego, di Francesco Marino Mannoia non si fa neppure il nome. Mi sembra quindi evidente come non vi sia materialmente spazio per anche solo ipotizzare -  in tale contesto - una qualche omissione di sue dichiarazioni. RingraziandoLa per l’attenzione, saluto cordialmente Gian Carlo Caselli

2 - PERCHÉ GIANCARLO CASELLI CREDE ALLE FRASI DI UN PENTITO SU ANDREOTTI MA TACE QUELLE SU PIERSANTI MATTARELLA? - FRANCESCO MARINO MANNOIA PARLO’ DEI “RAPPORTI AMICHEVOLI” TRA L'EX PRESIDENTE DELLA REGIONE SICILIA E I CUGINI SALVO E STEFANO BONTATE - POI MATTARELLA CAMBIO’ LINEA E PER QUESTO SAREBBE STATO UCCISO - LE FRASI DEL PENTITO FRANCESCO DI CARLO SU BERNARDO MATTARELLA, PADRE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: “MI FU PRESENTATO COME UOMO D'ONORE…” https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/perche-giancarlo-caselli-crede-frasi-pentito-andreotti-223640.htm

3 - COME SI NASCONDONO LE NOTIZIE - IL “CORRIERE” ECLISSA A PAGINA 22 LA BOMBASTICA LETTERA DEL FIGLIO DI ANDREOTTI CHE TIRA IN BALLO PIERSANTI MATTARELLA, FRATELLO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, E I SUOI RAPPORTI CON I BOSS: “SI PARLA SEMPRE DEGLI INCONTRI DI MIO PADRE CON I VERTICI DI COSA NOSTRA MA IL RACCONTO DI MARINO MANNOIA CONTIENE AFFERMAZIONI DAVVERO INFAMANTI ANCHE DELLA FIGURA DI PIERSANTI MATTARELLA, CHE DOPO AVER INTRATTENUTO RAPPORTI AMICHEVOLI CON I CUGINI SALVO E CON BONTATE, AI QUALI NON LESINAVA I FAVORI..." https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/come-si-nascondono-notizie-ldquo-corriere-rdquo-eclissa-pagina-223529.htm

4 - L’OMICIDIO PIERSANTI MATTARELLA Gian Carlo Caselli per il “Corriere della Sera” del 06 gennaio 2020

Quarant’anni fa, la mattina del 6 dicembre 1980, Cosa nostra  uccideva a Palermo Piersanti Mattarella, esponente di rilievo della Democrazia cristiana , convinto sostenitore di una fase politica di apertura a sinistra. Come presidente della Regione Sicilia aveva avviato una coraggiosa  campagna moralizzatrice all’interno del suo partito.  Con l’obiettivo di allontanare i personaggi più compromessi con la mafia  e di ripristinare la legalità nella gestione della pubblica amministrazione, specie in materia di appalti.  Il delitto rientra nella impressionante  sequenza degli  omicidi “politico-mafiosi” degli anni  Settanta-Ottanta con cui i corleonesi di Riina puntavano ad una egemonia totalizzante.

La  decapitazione sistematica e feroce di tutti i vertici istituzionali. Una terribile ecatombe di politici, magistrati, funzionari di Polizia, ufficiali dei Carabinieri, giornalisti, uomini della società civile. Mai, in nessun paese al mondo, vi è  stato qualcosa di simile.

L’omicidio Mattarella si caratterizza perché assume i contorni di uno psico-dramma di  cui la classe dirigente nazionale appare come la vera protagonista e destinataria, rivestendo tutte le parti del dramma. Quella  ( facente  appunto capo a Mattarella) di chi vorrebbe inaugurare una nuova stagione di auto-riforma della politica, rescindendo ogni rapporto con la mafia ed i suoi alleati.

Quella opposta, formata dai peggiori esponenti della corrente andreottiana della D.C. regionale, fra i quali i cugini Salvo e l’on. Lima ( che insieme a Giulio Andreotti – come accertato nel processo di Palermo a suo carico – addirittura parteciparono a summit con i vertici di Cosa nostra per discutere il “caso” Mattarella). Quella pavida o anche solo  rassegnata alla sua impotenza, che fu lo stesso Mattarella a dover constatare ,  quando – pochi mesi prima  di essere ucciso  - si recò a Roma per denunziare il suo progressivo grave  isolamento, ricavandone la sensazione  di essere ormai consegnato al suo destino di morte ( di ciò ha testimoniato nel 1981, nel processo per l’omicidio Mattarella, la sua capo di gabinetto).  

Aspetto – quest’ultimo – intuito con acume e ben messo a fuoco  da Carlo Alberto Dalla Chiesa, che proprio riflettendo sull’omicidio Mattarella ebbe a sostenere  che “si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso ma si può ucciderlo perché è isolato” (intervista rilasciata a Giorgio Bocca il 10 agosto 1982, pochi giorni prima della strage mafiosa di via Carini del 3 settembre , nella quale il generale-prefetto di Palermo fu ucciso insieme alla moglie e all’autista).

L’omicidio Mattarella smentisce tragicamente i ricorrenti  tentativi di leggere i rapporti fra mafia e politica  ispirandosi a schemi di  riduzionismo se non proprio di negazionismo. Per ridurre tali rapporti a fenomeno localistico, quasi un capitolo di folklore regionale, addebitabile agli appetiti di pochi esponenti del ceto politico-amministrativo. O addirittura  liquidandoli parlando di indagini “creative” o in mala fede, donde un  sillogismo semplice quanto pericoloso: se le indagini sono inquinate, il nesso mafia-politica si può tranquillamente demolire. Per contro, la realtà,  processuale e storica, non sancisce affatto  una modesta configurazione periferica, ma i tempi della storia del Paese. Tessere di un mosaico nazionale segnato anche da orride cadenze di morte. 

In questo contesto l’omicidio di Piersanti Mattarella risulta essere un catalizzatore storico del rapporto mafia-politica, perché racchiude ed esalta in sé tutti i connotati storici ( le “invarianti strutturali” di tale rapporto), dall’Unità i giorni nostri. E si ricongiunge, con una inquietante linea di continuità, al primo omicidio politico mafioso di rilievo nazionale della storia unitaria, quello di Emanuele Notarbartolo già sindaco di Palermo e direttore generale del Banco di Sicilia. Un omicidio che (al pari di quello di  Mattarella)    portò appunto  alla luce  - proiettandolo sullo scenario nazionale- il rapporto mafia-politica, come elemento strutturale del  fenomeno mafioso e asse portante degli equilibri politici nazionali.