Il Sole 24 Ore, 12 gennaio 2020
Biografia di Marinella Soldi
«Il Paese deve scegliere. Può accettare il declino, mitigato dalla trasformazione in un piacevole parco giochi, un bel posto dove gli stranieri vengono in vacanza per riposarsi e per ammirare i segni e le testimonianze del passato. E, questa, può anche essere una decisione razionale: aderisci alle grandi tendenze degli ultimi trent’anni e gestisci la tua crescente marginalità. Oppure l’Italia può provare a mutare identità dall’interno. Il problema è capire se abbiamo le energie per cambiare gli equilibri e gli assetti del potere, così da trasformare le nostre strutture materiali e immateriali».
Marinella Soldi, dal 1995 al 2018 ai vertici europei di MTV e di Discovery e adesso impegnata in un periodo sabbatico, non è affatto l’espressione pura del ceto manageriale cosmopolita formatosi ai tempi della globalizzazione che negli ultimi 30 anni – tra società di consulenza, finanza e servizi – ha assunto una sorta di prevalenza etico-moralistica sull’Italia, sulle sue inefficienze e sui suoi vizi. Ma non c’entra nulla nemmeno con i circuiti che tradizionalmente generano i dirigenti di impresa italiani. Rappresenta, dunque, una doppia alterità.
Siamo a Milano alla Cantina Piemontese di Via Laghetto, fra Piazza Fontana e l’Università Statale: «Venivo spesso in questo ristorante quando ero a capo delle attività in Sud Europa di Discovery. Ci portavo sempre David Zaslav, l’amministratore delegato, un newyorkese di Brooklyn che impazziva per la cucina delle Langhe e del Monferrato». La cifra piemontese, qui, si nota anche nei dettagli: per esempio nei tipi di grissini che, nella geometria della tavola, sono importanti tanto quanto il pane e la focaccia.
«La stasi o la disruption. I prossimi dieci anni saranno definiti dalla scelta fra queste due opzioni», dice. Marinella non adopera l’inglese come fanno molti manager italiani che hanno assorbito la lingua delle multinazionali in cui lavorano così tanto da non riuscire a non inframmezzarne i loro discorsi. Usa l’inglese – la disruption, la rottura portatrice di novità – perché è (anche) inglese. Esattamente come è italiana. Per questo il suo punto di vista, in questo inizio di 2020 e in questa transizione italiana che ormai dura dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso, appare allo stesso tempo uno e bino, articolato e ricomposto, familiare e terzo. Inoltre, mentre ogni cosa cambia con una speciale accelerazione della storia politica ed economica, sociale e tecnologica, il suo punto di vista è utile perché – nella quiete attiva del periodo sabbatico – è privo dell’eccesso ipercinetico e dell’affanno ossessivo di chi è pienamente sottoposto alle regole del gioco: «Non ho incarichi operativi. Sono presidente della Fondazione Vodafone e faccio parte dei consigli di amministrazione di Nexi, Talent Garden e Ariston Thermo. Dedico la metà del tempo al lavoro e la metà del tempo a me stessa. Ai libri, al trekking, allo yoga, ai viaggi e alla famiglia».
Soldi è figlia di due emigrati italiani in Inghilterra. La sua famiglia ha lasciato Figline Valdarno, in provincia di Firenze, per trasferirsi a Londra nel 1974, quando lei aveva otto anni, prendendo casa prima nel quartiere di Twickenham e, dopo tre anni, trasferendosi a Richmond. Il padre Dante commercializzava i prodotti delle imprese italiane specializzate in tubi e in meccanica che operavano con l’industria del petrolio del Mare del Nord. «Mio papà e mia mamma Mirna fecero frequentare a me e a mia sorella Betty i corsi di italiano organizzati il sabato mattina dall’ambasciata, perché non perdessimo la lingua e potessimo ottenere la licenza media. La Londra di allora non era la Londra di oggi dove, al di là di Brexit, si trova ogni cosa. Andavamo da Camisa and sons, un negozio di alimentari che aveva la mozzarella e che esiste ancora: l’ho visto a dicembre».
A proposito di cibo, di fronte al menù piemontese classico, Soldi fa una mossa del cavallo e, alla fine, sceglie come antipasto carciofi stufati, mentre io mi attengo alla più rigida ortodossia piemontese e prendo peperoni ripieni di salsa di tonno e di acciughe. Soldi, nella vita, è esattamente come è qui in questo ristorante: sceglie lei il posto e guarda il menù, apprezza lo stile della casa e ama il cibo che viene servito, ma alla fine fa come le pare. Allo stesso modo, non è appunto incasellabile in una delle categorie storiche della modernità internazionale e italiana. Né sul fronte dei manager della globalizzazione iniziata negli anni Novanta, di cui formalmente fa parte a pieno titolo, né sul versante dei dirigenti di impresa italiani, che così tanto sono segnati dall’appartenenza al giardino in cui economia e politica si influenzano: e, per fortuna sua, nel 2018 dopo la sua scelta di uscire dopo dieci anni da Discovery, non si sono concretate le voci di una sua guida operativa della Rai.
Inoltre, Marinella è appunto Marinella. Ed essere una donna conta – anzi, pesa – anche nelle multinazionali. «Per noi è difficilissimo. Lo dico a tutte le ragazze che incontro. Io ho provato a conciliare la vita privata e la vita professionale. I miei figli, Giacomo di 21 anni e Mattia di 19, oggi studiano e lavorano in Olanda e sono stati i primi ad appoggiarmi quando ho deciso di lasciare gli incarichi operativi e di dedicare, per un anno, la metà del mio tempo a me stessa e la metà del mio tempo al lavoro, ma in posizioni non esecutive. Quando tornavano a casa durante le medie e le superiori a metà pomeriggio, facevo in modo di essere anche io a casa per le quattro: ero il capo, l’agenda delle riunioni a Milano la definivo io e, quando c’era da lavorare con il quartier generale europeo di Londra, con skype poco importava dove io fossi. Tuttavia, ricorderò sempre un tema in cui uno di loro doveva descrivere la mamma. In quel tema io lavoravo soltanto. Non fu facile leggerlo».
Soldi è, quindi, dentro al mainstream, ma è anche fuori dal mainstream. Non soltanto nelle ultime scelte professionali, con la decisione – almeno per ora – di scendere dalla giostra più luccicante e vorticosa dei manager esecutivi e di dedicarsi alla sua dimensione più personale: «A settembre di quest’anno, vorrei iscrivermi ad un master in Traditions of Yoga and Meditation alla Soas, la School of Oriental and African Studies della University of London oppure, in alternativa, ad un master in Behavioral Science della London School of Economics». Lo è anche nelle origini della sua formazione. Quando, dopo le scuole superiori a Londra, prova a entrare a Cambridge senza riuscirvi, vive questa non ammissione come una delusione ed un fallimento, ma accetta il consiglio dei suoi genitori: «Li ascoltai, e tornai per un anno a Firenze, a studiare restauro e storia dell’arte. Fu molto bello. E, intanto, preparai l’esame di ingresso alla London School of Economics».
LSE che, di nuovo, pur essendo mainstream, proponeva agli studenti una varietà di argomenti, di metodologie e di attitudini tutt’altro che uniformi. «Mi appassionai all’economia dello sviluppo. La insegnava Jean Drèze, un indiano che ha firmato paper e saggi con il Nobel Amartya Sen. Drèze viveva in una tenda nel parco dietro alla LSE per protestare contro il caro-affitti di Londra. È stata una palestra culturale e personale molto importante: oltre alla qualità dell’insegnamento, che era altissima, mi ha segnata quella componente umana, quasi antropologica. Un giorno Drèze mi disse: “Qualunque carriera tu scelga, ricordati di avere un cuore”».
Arriva il proprietario della Cantina Piemontese, che si intrattiene per qualche minuto con lei. No, niente vino, davvero, solo acqua minerale, anche se in questo ristorante è come andare in chiesa a messa e poi non fare la comunione. Subito dopo la laurea, con la sua migliore amica – la greca americana Christina Hatgis, compagna di liceo a Londra – trascorre sei mesi con il sacco a pelo in giro per l’Asia (India, Nepal, Thailandia) e, poi, si trasferisce in Sud Africa per fare volontariato: «Ho passato sei mesi a Soweto con il Maggie Magaba Trust. Pochissimi gli uomini bianchi, le donne bianche ancora meno. Ho fatto cose molto semplici, ma molto belle: l’asilo con i bambini e l’assistenza alle donne, in particolare». A quel punto, Marinella entra in McKinsey, a Londra. «Rivendico l’appartenenza alla scuola McKinsey, che più mainstream non si può. Anche se devo dire che, in quegli anni, fra Londra e Milano ho constatato la differente impostazione: a Londra i miei colleghi avevano le formazioni più diverse, molti con studi umanistici, mentre a Milano erano tutti laureati in economia e in ingegneria».
Secondo il classico percorso delle società di consulenza, Soldi frequenta l’MBA della Insead di Fontainebleau. Mentre parliamo, ecco arrivare in tavola il piatto principale: lei – fedele alla regola della mossa del cavallo, applicata anche al luogo del desinare – ha preso dei tonnarelli cacio e pepe, mentre io ho scelto degli agnolotti del plin con crema di castelmagno. Soltanto che, finito il master, la vera mossa del cavallo la fa lei a McKinsey. «MTV mi offrì una posizione come responsabile dello strategic development. Era il mio sogno. Non rientrai in McKinsey. Non la presero benissimo. Mi dovetti indebitare per pagare la retta del master».
Soldi proietta questa sua ricerca, anche inquieta ed irrequieta e molto femminile-generativa, sul profilo che si staglia, per il 2020, sull’Italia: «Il mainstream, nel senso delle regole ortodosse formatesi con la globalizzazione e la politica degli ultimi trent’anni, non va bene per riformare il Paese. Allo stesso modo, il rimpannucciarsi tutto italiano nell’eterno ripetersi gerontocratico e provinciale non può che perpetuare il declino. Serve una via originale. Serve una mossa del cavallo». E, alla fine, la mossa del cavallo la rifà Marinella quando – al cameriere che ci chiede come vorremmo concludere il pranzo – lascia a me ordinare, fra una lista di classici dolci piemontesi, la torta al cioccolato di Guido Gobino, mentre lei prende dei semplici frutti di bosco.