il Giornale, 12 gennaio 2020
Il proibizionismo americano, 100 anni fa
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Quasi cent’anni fa moltissimi statunitensi presero d’assalto pub, saloon e mescite. A migliaia e migliaia cercarono di scolarsi un ultimo goccetto o di fare provviste per attenuare, almeno per un po’, gli effetti dell’inevitabile astinenza forzosa. Poi, il 16 gennaio 1920, la proibizione del consumo di alcolici, imposta negli Usa con il XVIII emendamento della Costituzione, ratificato in via definitiva il 28 ottobre 1919, entrò in vigore. «Dopo la ratifica del presente Articolo, e per effetto dello stesso, sono vietati entro i confini degli Stati Uniti la fabbricazione, la vendita e il trasporto – a scopo di consumo – di bevande alcoliche, nonché l’importazione e l’esportazione delle medesime da e per gli Stati Uniti e tutti i territori soggetti alla di loro sovranità».
Era iniziato il tentativo più serio mai compiuto da uno Stato (legislazione islamica a parte) di eradicare gli effetti negativi del consumo di alcool sulla società: durò sino al 1933.
Ma i risultati fin da subito furono diversi da quelli che si aspettava il legislatore. Il 17 gennaio già furono schierati migliaia di agenti per far rispettare il divieto. Ma i criminali erano stati più rapidi. Poco dopo la mezzanotte del 15 gennaio, a Chicago, una banda armata aveva assaltato un treno per rubare un carico di whiskey stimato 100mila dollari. Semplicemente, data l’imminenza della proibizione, il valore degli alcolici stava schizzando alle stelle e il mercato nero aveva iniziato a formarsi ancora prima che scattassero i controlli. Insomma, l’opposto di ciò che aveva preconizzato, quasi messianicamente, l’ingenuo ma ben intenzionato senatore Andrew Volstead: «I quartieri umili presto apparterranno al passato. Le prigioni e i riformatori resteranno vuoti. Tutti gli uomini cammineranno di nuovo eretti, tutte le donne sorrideranno e tutti i bambini rideranno. Le porte dell’inferno si sono chiuse per sempre». Se c’è una cosa che caratterizza le organizzazioni criminali, infatti, è la loro darwiniana propensione per il marketing e lo studio delle debolezze umane. Sarebbero bastati i milioni di alcolisti presenti negli Usa ad alimentare un’economia parallela. Senza contare che infrangere la legge e bere nei locali clandestini divenne presto di moda...
Questi bar fuorilegge spuntarono come funghi e andavano dalle orride bettole alle raffinate sale da ballo con aggiunta di moonshine, come veniva chiamato il whiskey delle distillerie clandestine. Divennero noti come Speakeasy (parlate piano) e ci si entrava solo a patto di conoscere la parola d’ordine.
Erano iniziati i Roaring Twenties, in cui l’economia a stelle e strisce pompava a tutta forza generando ricchezza, ma anche paure moralizzatrici da un lato – diciamo la verità, l’alcolismo era una piaga endemica tra le classi più povere e soprattutto gli immigrati – e dall’altro dando alla criminalità i mezzi per prosperare proprio su quelle paure. Al centro di questa miscela esplosiva personaggi come Al Capone, che disse: «Ho solo fatto i soldi fornendo un prodotto che la gente voleva. Se questo è illegale, anche i miei clienti, centinaia di persone della buona società, infrangono la legge. La sola differenza fra me e loro è che io vendo e loro comprano. Tutti mi chiamano uomo del racket. Io mi definisco un uomo d’affari».
Sorvolando sul fatto che Capone, tra un affare e l’altro, aveva ordinato la morte di decine di persone a partire dal «Massacro di San Valentino», fu anche grazie alla sua notorietà che sul finire degli anni Venti il governo strinse ulteriormente il tappo a vite sul consumo di alcolici. Nel 1929 il Congresso approvò una norma che comminava la prigione anche per i consumatori di alcolici, mentre fino a quel momento erano vietate solo la produzione, l’importazione e la vendita. Servì solo a inasprire il conflitto con le bande di gangster che ormai imperversavano quasi ovunque, aiutate anche dai danni fatti all’economia normale dalla Grande depressione che, va da sé, aumentava i disperati intenzionati a farsi un goccetto per dimenticare (e che ovviamente ingurgitavano beveroni prodotti con le peggio cose). Questa situazione spinse anche molti grandi imprenditori, che avevano appoggiato il proibizionismo a cambiare fronte. Tra questi anche Henry Joy, della Packard Motor Car Company, e John D. Rockefeller che con Henry Ford era stato tra i finanziatori dell’Anti Saloon League, una delle più famose «società di temperanza» che avevano spinto per le restrizioni.
Joy recitò un mea culpa notevole: «Ho fatto un errore. Mi sono stupidamente sbagliato. L’America deve aprire gli occhi». Sul quale però bisogna essere sinceri. Il proibizionismo funzionava male e forse favoriva i criminali. Ma a far sorgere dubbi ai grandi capitalisti fu anche il fatto che il governo Usa, che aveva visto evaporare con l’alcol svariati miliardi di dollari l’anno con la cancellazione della tassazione sul medesimo, decise di istituire nuovi balzelli che colpivano le grandi imprese e i contribuenti più ricchi (un altro bel macigno da sommare alla crisi). Passarono così al fronte antiproibizionista anche i dirigenti di colossi come General Motors o il presidente della banca Guaranty Trust Co., Charles Hamilton Sabin.
Il proibizionismo iniziò così ad avere le ore contate. Se il presidente Hoover se ne lavò le mani, perché aveva altri problemi, Roosevelt lo prese di punta e disse chiaro e tondo in campagna elettorale di volerlo abolire.
Martedì 5 dicembre 1933 si sancì la fine del XVIII emendamento e del Volstead Act, in una sorta di tripudio collettivo. Milioni di americani corsero ad acquistare birra, gin liberalizzato e regolarmente tassato, esattamente come erano corsi ad acquistarlo subito prima che scattasse il proibizionismo. E questo fece impennare rapidamente le entrate del governo. Ovviamente vennero anche creati in breve tempo circa un milione di posti di lavoro collegati all’industria degli alcolici, per la gioia del New Deal di Roosevelt. Certo, persero il lavoro un sacco di gangster i quali, dopo aver abbandonato un business già avviato, si rimisero rapidamente in pista con la droga.
L’esperimento proibizionista era fallito e non restava che berci su, ma i milioni di morti da alcol che l’America ha avuto, da allora a oggi, qualche dubbio possono farlo venire anche ai libertari...